Se il titolo definitivo dell’album fosse stato, come era nelle intenzioni originarie dell’autore, “Love Aladdin Vein”, con chiaro riferimento all’eroina, malsana passione dell’epoca, sarebbero sorti problemi con la censura e l’opinione pubblica, per cui David Bowie lo trasformò in un gioco di parole ricavando Aladdin Sane dalla locuzione a lad insane (cioè “un ragazzo pazzo”). Il cantante inglese non gradiva al massimo grado il dicotomico mondo rock e dello show business statunitense nel quale stava riscuotendo fama all’epoca della composizione dell’album, ossia girovagando per le strade d’America nell’autunno del 1972. Così, la soverchiante personalità di Ziggy Stardust, all’inizio del 1973, si americanizza e si evolve in quella di un essere artificiale, androgino e seducente, un vero animale da palcoscenico, che fa bagni di folla come Jim Morrison ed è provocante come Mick Jagger. L’esasperazione del personaggio è evidenziata da alcuni peculiari segni estetici che rendono sintetico il personaggio: sulla sua fronte è impresso un disco iridescente (idea mutuata dall’artista Calvin Lee), quasi fosse un terzo occhio che fornisce la visione di scenari futuri impossibili da immaginare per i comuni umani. In copertina, si vede un lampo purpureo attraversargli il viso, a consolidare l’immagine di una creatura trascendentale che, peraltro, canta cose materiali, quali feste, uomini, donne, alcol, droghe, musica, cinema, show business, eccessi e bagordi, ma ha sentimenti malinconici, come dimostra la lacrima che scivola sulla sua spalla nuda. Stilisticamente, dunque, si dovrebbe collocare il disco ancora nella filiera di quel glitter-rock che all’epoca toccava il vertice alto della parabola; paradossalmente, invece, dietro l’apparenza sfacciata dei temi si nascondono malesseri e tensioni esistenziali dovute alla cognizione di quanto il mondo “rock” fosse degenerato e deteriorante. “Aladdin Sane” è, infatti, additato come l’album che marca l’inizio della fine del glam rock.
Prima della sua pubblicazione, Bowie si era cimentato con la composizione del brano All The Young Dudes, dato in dono al gruppo Mott And The Hoople nonché con la produzione di “Raw Power” degli Stooges, ma riesce, tuttavia, a personalizzare il suo disco, filtrando ogni suono ed ogni parola attraverso le sue passioni versatili e selettive. Tranne la cover di Let’s Spend the Night Together dei Rolling Stones, tutti i brani sono opera sua e, fin da Watch That Man, predomina un retrogusto soul che ridimensiona il sostrato rozzo del rock tramite l’uso di cori gospel e del pianoforte magistralmente suonato da Mick Garson, che s’inserì con naturalezza negli Spiders; tali elementi rendono tangibile il fatto che il disco sia stato parzialmente registrato a Nashville durante il tour statunitense di “Ziggy Stardust” e se, ben presto, la melodia cede il posto a sonorità oniriche ed ossessive, grazie ad una sinergia frenetica tra sassofono e pianoforte, come inAladdin Sane (ispirato dal libro di Evelyn Arthur Waugh “Corpi vili”, rappresentazione di una società in decadenza), Drive-in Saturday strizza l’occhio alle canzoni romantico-melodiche dei tardi Cinquanta, con i suoi riferimenti alle mode degli anni del boom e agli ammiccamenti che inneggiano ad una liberalizzazione sessuale ancor più esplicita di quella presente in “The Rise And Fall of Ziggy Stardust”. E’ probabile che questo sviluppo sia stato incoraggiato dalle tematiche presenti in “Transformer”, l’album di Lou Reed che Bowie aveva prodotto con Mick Ronson, aiutando uno dei suoi idoli più ammirati a mettere a fuoco una creatività alquanto sbiadita.
Sia nel lavoro di Reed sia in “Aladdin Sane”, Bowie orienta l’ispirazione verso le suggestioni della musica di Kurt Weil, dal momento che l’artista inglese era reduce dai magnificenti spettacoli allestiti a Londra con il trio di mimi guidato da Lindsay Kemp, gli Astronettes (in “Drive-In Saturday” compare anche un auto-riferimento). Colpisce molto l’uso della voce di Bowie: non essendo dotato di estensione, punta tutto sul timbro, ma lo colora con venature maniaco-depressive che rendono la voce quasi stridula, femminile e lamentosa, molto affine a quella di Jagger, come si può avvertire in Panic in Detroit o in Cracked Actor. Proprio questa ultima canzone costituisce il ritratto in musica di un divo sfibrato e distrutto, qual era il cantante stesso all’epoca delle registrazioni; ancora oggi, suonare “Cracked Actor” in concerto costa all’artista inglese un’emozione dolorosa, essendo strettamente collegata ad un periodo di vita personale che Bowie preferirebbe dimenticare (ed, infatti, ha attraversato uno iato temporale dalle esecuzioni live degli anni ’70 fino a tempi recenti).
Ogni canzone di “Aladdin Sane” parte da un elemento costitutivo personalissimo ed autobiografico, permeato dal senso di smarrimento della propria identità e di crisi profonda, come nello struggente brano Time, triste omaggio al batterista dei New York Dolls, Billy Murcia, morto per overdose (“Non sei una vittima / Urli soltanto la tua noia / Tu non stai sfrattando il tempo” ); tuttavia, anche i temi più tormentati si nascondono dietro musiche che agganciano l’attenzione e che conquistano facilmente l’ascoltatore. L’uso della voce si fa più ardito in The Prettiest Star, nel quale torna a farsi sentire prepotente la passione di Bowie per il cabaret espressionista, mescolata al genere delle colonne sonore di certa fantascienza americana anni ’50, mentre la parte finale dell’album lascia il posto ad un rifacimento di “Let’s Spend The Night Together”, che amplifica, seppure in modo decadente, l‘incitamento erotico dell’originale.
La famosissima hit The Jean Genie, incentrato in modo ipnotico su accordi blues, dipinge il ritratto dell’amico Iggy Pop (“Siede come un uomo, ma sorride come un rettile” ) o, comunque, di un personaggio suo succedaneo, mentre Lady Grinning Soul è un brano anomalo, dedicato alla sensuale cantante soul Claude Lennear, già destinataria di “Brown Sugar” dei Rolling Stones: in esso la voce di Bowie prende coraggio e ingaggia un volo spericolato, ricamando con un filo rosso e passionale il soul lento e sognante della melodia. “Aladdin Sane” è un disco che fissa il momento, come un’istantanea salvata dall’usura in cui un individuo senza tempo ricorda le sue impressioni su una nuova realtà ed è anche un disco che rappresenta una vera fonte di idee al contempo decadenti ed innovative, inspiegabilmente ancora molto attuali a più di trenta anni di distanza.
(1973, RCA)
01 Watch That Man
02 Aladdin Sane
03 Drive-In Saturday
04 Cracked Actor
05 Time
06 The Prettiest Star
07 Let’s Spend The Night Together
08 The Jean Genie
09 Lady Grinning Soul