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David Gilmour – Luck And Strange

“Sai in che decade della mia vita ero quando Roger ha lasciato il nostro gruppo pop? Ero sulla trentina. Oggi ho 78 anni. Dove sta la rilevanza?”, dice il chitarrista e cantante dei Pink Floyd a Mark Blake, incalzato per avere un’opinione sul remake di “The Dark Side Of The Moon” pubblicato dall’ex amico e collega l’anno scorso. Difficile, probabilmente, accontentarlo, viste le continue lotte a distanza fomentate, sempre l’anno scorso, da un’intervista al vetriolo alla moglie di Gilmour, l’autrice Polly Samson che ormai da decenni si occupa della parte lirica degli album di Gilmour (e di buona parte dei pezzi di “The Division Bell”, del 1994), e ancora di recente dalla dichiarazione di Gilmour di non vedere l’ora di liberarsi del catalogo dei Pink Floyd. Non è forse difficile credere che sia qualcosa alla quale non pensa? Forse non stavolta.

Qualunque fan dei Pink Floyd – boomer e millennial, tendenzialmente – ne avrà a questo punto i coglioni strapieni di questa lotta fratricida, e certamente gli ultimi avvenimenti sembrano aver fatto scattare qualcosa anche in Gilmour, come se volesse allontanare il fantasma floydiano e il tedio del costante litigare a distanza; e letteralmente ha allontanato non un fantasma ma alcuni dei suoi musicisti: il veterano Jon Carin, ad esempio, che ha suonato in quasi tutte le uscite a nome Floyd o Gilmour dal 1987 a oggi (e, incidentalmente, anche in diverse uscite a nome Waters). Nelle parole di Gilmour: “Alcuni avrebbero fatto meglio a suonare in una tribute band dei Pink Floyd”. E quindi una bella rinfrescata alla band, con Rob Gentry, Guy Pratt (Pink Floyd, Iggy Pop, Madonna, uno dei pochi confermati) e Steve Gadd (Steely Dan, Stanley Clark, Eric Clapton) pronti a stare lontani da uno di quelle miriadi di tribute show che in giro per il mondo riproducono pezzi vecchi ormai di più di 50 anni, e ad affiancare anche creativamente Gilmour.

Il risultato di questa risoluzione è certamente il miglior disco della carriera solista di Gilmour che, soprattutto con gli ultimi due album (“On An Island” del 2006 ed il più recente “Rattle That Lock” del 2015) non aveva mai raggiunto neanche lontanamente non solo le vette più alte della sua vecchia, leggendaria band, ma neanche quelle di “The Division Bell” (1994), vette assai più blande. Il merito è in questo caso molto evidentemente da dividere: la freschezza della band è un elemento straordinariamente importante, e infatti è proprio l’atmosfera, cupa ed eterea ad un tempo a rendere Luck And Strange un ascolto interessante; i testi – eccellenti, questa volta – di Polly Samson, e l’ottima musica di Gilmour, finalmente in gran forma compositiva, sono finalmente a livello. Ma la chiave del risultato è sicuramente da ricercarsi in Charlie Andrews, produttore noto principalmente per il suo eccellente lavoro con gli Alt-J, il quale, che ci crediate o meno, aveva scarsissima (diciamo vicina allo zero) familiarità con i Pink Floyd e nessuna remora a dire francamente alla leggenda della chitarra quel che pensava, rendendo per Gilmour questa prima (e immaginiamo non ultima) collaborazione un sollievo rispetto a chi tratta il musicista inglese come un vecchio monarca. Da qui un set di canzoni (e soprattutto un impatto sonoro) come non se ne sentivano da molto tempo a nome Floyd o Gilmour.

Curiosamente, tuttavia, i due brani migliori sono due wildcard in questa situazione: la title track, nata da una jam session col compianto Rick Wright, registrata poco prima che morisse (e la cui versione integrale ed originale è inclusa come bonus track), un pezzo floydiano nel significato, ma molto lontano dai due album – lasceremo “The Endless River” fuori dal discorso al fine di preservare la dignità dei suoi autori – pubblicati senza Waters, che porta creativamente avanti il discorso Floyd e lascia non pochi rimpianti su ciò che poteva essere, invece di quel coacervo di luoghi comuni e imitazioni di se stessi che pubblicarono nel 1994. E poi il vero gioiello del lotto: una cover di Between Two Points del semisconosciuto duo indie inglese The Montgolfier Brothers, cantata dalla talentuosa figlia del titolare, Romany, che con una voce cristallina arricchisce questa perla nascosta della discografia inglese.

“Luck And Strange” non è un album per i fan di Gilmour, non per quelli almeno che si professano tali ma sono contenti di sentirgli produrre sempre la stessa, scipita copia di se stesso che sentiamo da anni. Forse non è nemmeno un album eccezionalmente moderno, seppur suoni tale. Ma è un album di buona musica, che ha realmente qualcosa da dire. Che è più di quel che si può dire di tanta musica che quotidianamente satura ogni possibile canale.

2024 | Sony

IN BREVE: 4/5

Nicola Corsaro
Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.