Inquadrare ciò che Brendan Perry e Lisa Gerrard hanno fatto nel corso degli anni a nome Dead Can Dance è impresa a dir poco ardua. Limitante la definizione new wave, dato che nessun’altra band del filone ha mai giocato così tanto con la musica etnica e le mistioni orientali. Limitante anche la definizione gothic, perché chitarre post-punk ne hanno sempre presentate ben poche, preferendogli arrangiamenti classici e orchestrali. Forse world music è l’etichetta che gli calza meglio, date le innumerevoli sfaccettature e le diversissime estrazioni geografiche dei loro spunti. Ma, anche in questo caso, la world music per come la conosciamo è qualcosa di abbastanza diverso. I Dead Can Dance sono stati, più semplicemente, i Dead Can Dance. Preso atto della difficoltà di classificarli, come bisognava interpretare le parole pronunciate da Perry qualche tempo fa, quando per presentare questo Anastasis (in greco “resurrezione”) tirò fuori l’aggettivo “primaverile”? Corto circuito totale perché, tra tutti i fattori dell’equazione Dead Can Dance, raggi solari e fioriture non hanno mai trovato posto. Ed in effetti possiamo confermare, ora che “Anastasis” l’abbiamo sottomano, che il buon Brendan ha qualche problemino con le stagioni oppure s’è divertito a giocherellare con l’hype creatosi attorno al primo album della band a sedici anni dal precedente “Spiritchaser”. Sedici anni in cui il duo australiano ha smesso di essere un duo, orientando le proprie forze alle rispettive produzioni in solitario. Un duo che però non pare aver subito minimamente i graffi del tempo. La testimonianza più evidente, al di là di qualsiasi valutazione prettamente musicale, è data dall’aspetto vocale: tanto Perry negli episodi più scuri (vedi l’opener Children Of The Sun, Amnesia o Opium) quanto la Gerrard dove è l’oriente a farla da padrone (vedi Anabasis, Agape o Kiko), si ritrovano a proprio agio l’uno accanto all’altra, due voci immutate e cristalline che poco o nulla invidiano a ciò che erano negli anni ’80. Le otto lunghe composizioni contenute in “Anastasis” mettono a frutto le esperienze di un’intera vita artistica, dall’epica e cinematografica Return Of The She-King (in cui entrambe le voci s’inseguono), perfetta come accompagnamento sonoro di una storia fantasy, all’orchestrale All In Good Time, che accentua l’onirico insito in ogni brano della produzione a firma Perry/Gerrard. Are pagane, misticismo e suggestione si ritrovano affiancati nella celebrazione della personalissima liturgia dei Dead Can Dance. Che sono tornati, intonsi e profondi come sempre, per un lavoro ricercatissimo che difficilmente verrà dimenticato.
(2012, 4AD)
01 Children Of The Sun
02 Anabasis
03 Agape
04 Amnesia
05 Kiko
06 Opium
07 Return Of The She-King
08 All In Good Time
A cura di Emanuele Brunetto