
Se c’è una cosa certa, ogni volta che i Deafheaven sbucano fuori con un nuovo album, è che quell’album non sarà mai una copia carbone di quanto fatto in precedenza dai californiani. Un assunto, questo, che viene ampiamente confermato anche dal loro sesto lavoro in studio, Lonely People With Power. Il precedente meraviglioso “Infinite Granite” del 2021, infatti, presentava George Clarke, Kerry McCoy e gli altri alle prese con una totale rarefazione della loro proposta sonora, un disco che dava più attenzione alle elaborazioni shoegaze che gli appartengono da sempre più che al resto, portandole a un estremo mai raggiunto in una discografia che ormai s’è fatta davvero, davvero significativa.
“Lonely People With Power” in questo senso fa un passo indietro e va pescare a ritroso, riprendendo in mano l’altra fondamentale arteria che percorre il corpo dei Deafheaven, ovvero quella black metal, ma sarebbe meglio dire il black metal per come l’intendono e l’hanno sempre inteso i Deafheaven, ovvero lasciando ampio spazio alla melodia all’interno delle tracce (che è un po’ il motivo principale che li ha visti emergere dal sottobosco di settore). Dopo l’intro affidato a Incidental I, tocca a Doberman scoprire le carte del disco: Clarke spezza la schiena col suo screaming pulito e acido, mentre sotto, sopra e tutt’intorno la band costruisce un muro di suono imponente e variegato. E la doppietta col singolo Magnolia, che segue selvaggiamente subito dopo, finisce così per essere già in partenza il momento clou del disco.
Nonostante il flusso sonoro dei Deafheaven vaghi anche qui libero e cangiante, passando come in Heathen da una dimensione all’altra con apparente disinvoltura, è chiaro come la band abbia voluto confermare un certo contenimento della propria verve, rinchiusa in minutaggi che non hanno nulla a che vedere con le annichilenti chilometriche progressioni del passato meno recente. Così anche pezzi come Amethyst (oltre otto minuti) e Winona (oltre sette minuti) subiscono un interessante lavoro di sintesi, visto che appare evidente come i vecchi Deafheaven avrebbero potuto strattonarle allo sfinimento, con Amethyst nello specifico che è anche il raccordo principale col disco precedente, vista l’atmosfera eterea che l’attraversa da cima a fondo.
Incidental II e Incidental III presentano i primi due featuring della discografia dei Deafheaven: nella prima compare Jae Matthews dei Boy Harsher, mentre nella seconda c’è niente poco di meno che Paul Banks degli Interpol, due tracce parlate − o giù di lì − che nonostante la durata fungono da veri e propri intermezzi, fino ad arrivare alla conclusiva The Marvelous Orange Tree, la perfetta summa di quanto i Deafheaven sono stati fino a questo momento: shoegaze mutevole, divagazioni post rock e black metal assassino, a giustificare in pieno l’etichetta blackgaze che spesso gli viene affibbiata. Non sono più una sorpresa i Deafheaven, o meglio, sono sempre una sorpresa per il livello altissimo che riescono di volta in volta a mantenere, conquistando persino nuove yard a ogni passaggio.
2025 | Roadrunner
IN BREVE: 4/5