L’amore non è bello è titolo programmatico e al tempo stesso immediata presa di distanza dalla più banale delle tradizioni del song-writing all’italiana: niente rime cuore/amore, né bozzetti di vita di coppia necessariamente in rosa, Dente, al secolo Giuseppe Peveri, dedica un intero disco, il terzo, al più classico dei temi, l’amore, e riesce a farci spalancare gli occhi per il piccolo miracolo compiuto. “L’amore non è bello” continua, in un certo senso, il discorso iniziato con i precedenti “Anice in bocca” (2006) e “Non c’è due senza te” (2007), gemme dal valore indiscutibile ma sfortunate nel trovare la strada per il grande pubblico. Al tempo stesso, non è però errato parlare di svolta: il cambio di etichetta, dalla Jestrai alla Ghost Records, una band (Andrea Cipelli, Nicola Faimali e Gianluca Gambini) di supporto alle spalle e soprattutto una bruciante delusione amorosa che rende il già parecchio autoironico Dente, ancora più disincantato e finemente cattivo nella scrittura. Ecco che Dente confeziona allora un delizioso disco che, pur non essendo propriamente un concept album, può essere tranquillamente ascoltato e letto come un sussidiario illustrato dell’amore, o come una fenomenologia del rapporto amoroso, dissezionato e analizzato in tutte le sue fasi, dall’incontro (A me piace lei) all’innamoramento, dalla convivenza (Vieni a vivere) alla fine (Solo andata), passando attraverso tradimenti (Mi fido di te) e ritorni di fiamma (Sole). La prima traccia, La presunta santità di Irene, reca chiara l’impronta di Battisti, in particolare quello di “Anima latina”, e serve a settare il tono, musicalmente parlando, dell’intero disco, oltreché a omaggiare esplicitamente il capostipite di una scuola di cui Dente è sicuramente l’erede più quotato. E sulle orme di Battisti, Tenco, Gaetano e De Andrè, Dente tesse le sue semplici, limpide, meravigliose canzoni, noncurante del rischio di risultare banale o, peggio ancora, demodé. Tra bossa nova, synth e cori a impreziosire l’ormai logoro pattern voce-chitarra, è tipicamente anni settanta l’atmosfera che si respira e tuttavia nuova è la sensibilità con cui Dente setaccia il materiale che l’esperienza gli ha donato: versi di lirica quotidianità e rime nonsense coesistono, mentre tra le righe di filastrocche ariose e apparentemente scanzonate fanno capolino rabbiose verità e l’amara consapevolezza della finitezza delle cose di questo mondo e dell’amore in primis. Ma questo non impedisce a noi di continuare a crederci, né a Dente di continuare a scriverci su piccole, straordinarie canzoni.
(2009, Ghost Records)
01 La presunta santità di Irene
02 Incubo
03 A me piace lei
04 Voce piccolina
05 Buon appetito
06 La più grande che ci sia
07 Sole
08 Parlando di lei a te
09 Quel Mazzolino
10 Sempre uguale a mai
11 Finalmente
12 Vieni a vivere
13 Solo andata
A cura di Roberta Bellitto