Da che mondo è mondo, una prassi consolidata da parte degli artisti è quella di utilizzare toni a dir poco entusiastici nell’argomentare sul loro prossimo/nuovo lavoro. Vuoi per furbeschi fini di marketing, vuoi per reale convinzione nella strada intrapresa, fatto sta che ciascuno parla dell’ultimo arrivato come del meglio mai fatto fino a quel momento. Come nel caso dei Depeche Mode alla vigilia dell’uscita di questo Delta Machine, presentato come un album sulle stesse tonalità di “Violator” (1990) e “Songs Of Faith And Devotion” (1993). Insomma, se sapete di cosa stiamo parlando capirete che il confronto potrebbe apparire quantomeno azzardato.
Potrebbe apparirlo, ma solo senza aver ascoltato l’album. Poi lo metti su, “Delta Machine”, ed ecco che ti si apre un mondo: un mondo distante, parecchio, dagli ultimi tasselli di una discografia giunta quest’anno al capitolo numero tredici. Distante dalle sonorità patinate di “Sounds Of The Universe” (2009), probabilmente l’episodio meno riuscito della carriera dei Depeche Mode. Ma distante anche dall’aggressività di “Playing The Angel” (2005), album tutto sommato positivo che ha avuto i suoi momenti di gloria grazie ad un pugno di singoli azzeccati. “Delta Machine” è un lavoro parecchio lento, cadenzato come nei momenti più scuri firmati da Dave Gahan e soci.
Di brani come “John The Revelator” o “Wrong” non c’è nemmeno l’ombra, troviamo piuttosto ballatone electro-blues sulle quali la band non forza più di tanto con gli inserti elettronici. Vedi il singolo Heaven, Slow o l’incedere che sa davvero tanto di “Violator” della conclusiva Goodbye, con giri di chitarra blues che si incastonano alla perfezione nel contesto dei brani e con la voce penetrante di Gahan. Oppure Angel, traccia fra le più riuscite con le sue venature d’etereo industrial. L’alienata (e radioheadiana) My Little Universe, la melodica synth-eticità di Broken e il cantato come sempre pulitissimo di Gore in The Child Inside sono gli altri punti di forza dell’intero lavoro.
A voler essere pignoli, è proprio quando i bpm aumentano – come in Soft Touch / Raw Nerve e nell’altro singolo Soothe My Soul – che l’album risente di momenti d’interruzione dell’ascolto, altrimenti fluido ed omogeneo. Per completare la disamina, poi, non possiamo non citare i quattro brani extra contenuti nel secondo disco dell’edizione deluxe dell’album, quattro tracce (soprattutto Always) che nulla hanno da invidiare a quelle finite nella lunga tracklist principale e che confermano il buon momento di prolificità del trio Gahan/Gore/Fletcher.
“Delta Machine”, in definitiva, è un album che stravolge ancora una volta il già vastissimo repertorio dei Depeche Mode, una band che suona solo come se stessa e che dopo oltre trent’anni d’attività si dimostra più viva che mai, sempre alla ricerca di nuove dimensioni e nuove sfide artistiche. Il paragone con i due capolavori citati all’inizio, dunque, resta azzardato ma solo per una mera questione anagrafica e di assimilazione da parte nostra: loro, i Depeche Mode, lo sanno perfettamente di aver pubblicato un altro gioiello.
(2013, Columbia)
01 Welcome To My World
02 Angel
03 Heaven
04 Secret To The End
05 My Little Universe
06 Slow
07 Broken
08 The Child Inside
09 Soft Touch / Raw Nerve
10 Should Be Higher
11 Alone
12 Soothe My Soul
13 Goodbye
– Edizione Deluxe –
01 Long Time Lie
02 Happens All The Time
03 Always
04 All That’s Mine