Niente di spettacolare, niente di pirotecnico, niente che colpisca, niente che provochi escoriazioni o tumefazioni. Niente di che. Option Paralysis è niente di che. Qualcuno lo dica in chiare lettere ai Dillinger Escape Plan che così non si va affatto avanti. Da “Miss Machine” in poi hanno trovato gli equilibri compositivi ottimali, ma il concetto, posto in questi termini, si presta ad essere inteso come un complimento. E invece non è un complimento. La frase esatta e completa è: hanno trovato gli equilibri compositivi ottimali per non scervellarsi più di tanto quando devono tirare giù una canzone. E da chi è stato spesso – e con merito – considerato punta di diamante dell’avanguardia e dello sperimentalismo, ovvero tra i rifondaroli della materia sonora pesante dal 1999 in poi (anno di uscita del seminale esordio “Calculating Infinity”, ma forse ancor di più col clamoroso e già menzionato “Miss Machine” di cinque anni più tardi) ci si aspetta sempre, forse anche con troppe pretese, che i limiti tracciati nel disco precedente vengano oltrepassati, o per lo meno si tenti di farlo. E invece i DEP svolgono il compitino senza imbrattarsi troppo le mani, evitano di passare ore e ore con le mani tra i capelli a farsi venire epocali emicranie nel tentativo di cavare dalla calotta cranica uno straccio di idee interessanti. Farewell, Mona Lisaè l’inizio che ti aspetti dai non più sbarbatelli del New Jersey: parte sparata con Puciato che sbraita come un ossesso mentre gli altri in crisi epilettica ci calpestano le orecchie, poi c’è una breve pausa e arriva la lunga coda melodica in mid-tempo. Il copione è quello visto e rivisto da due album a questa parte e che non pare ci sia l’intenzione di mutare, anche perché in I Wouldn’t If You Didn’t viene riproposto tale e quale. Le parti melodiche sembrano fatte con lo stampino, vedasi Chinese Whispers, e insieme a lei anche la noiosa Gold Teeth On A Bum, che non dice nulla di nulla. Crystal Morning, Good Neighbour, Endless Ending (l’unica che richiama con sincerità gli esordi) e Room Full Of Eyes sono i consueti attacchi convulsivi che conosciamo e per giunta niente che valga la pena di essere ricordato. In “Miss Machine” queste cose riuscivano loro molto meglio. Widower vorrebbe ricreare la magia soffusa di “Mouth Of Ghosts” (che chiudeva il precedente album “Ire Works”) ma ci provoca qualche sbadigliuccio almeno fino al quarto minuto, fino a quando i nostri non si arrabbiano, ma siamo sempre lì, i modi sono gli stessi in forma ciclica. Parasitic Twins ci ricorda che i DEP hanno ascoltato molto Mike Patton, qui nello specifico “Album Of The Year” dei Faith No More: bene, non abbiamo altro da dire a riguardo. L’aver cacciato di casa gli stereogrammi jazzati (complice l’ennesimo cambio di batterista?) riduce di molto la carica propulsiva della band americana, adesso alle prese con una formula che lascia emergere una certa penuria di idee. “Option Paralisys”, il primo album per Season Of Mist (etichetta dalle salde tradizioni black metal) dopo il divorzio dalla storica Relapse, riduce la musica dei Dillinger al mesto bipolarismo “violenza cieca – distensione melodica” che, più di perpetuarsi in un prevedibile circolo di déjà-vu, non riesce proprio ad andare.
(2010, Season Of Mist)
01 Farewell, Mona Lisa
02 Good Neighbour
03 Gold Teeth On A Bum
04 Crystal Morning
05 Endless Endings
06 Widower
07 Room Full Of Eyes
08 Chinese Whispers
09 I Wouldn’t If You Didn’t
10 Parasitic Twins
A cura di Marco Giarratana