Purtroppo o per fortuna, a seconda del punto di vista, la strada presa dalle democrazie più in vista del pianeta ha risvegliato una certa coscienza di protesta nel mondo del rock e dintorni, coscienza relegata ultimamente e troppo spesso al solo ambito hip hop. Trump c’ha messo del suo e anche qualcosa in più per favorire tale rifiorire, così che band come i Downtown Boys hanno trovato facilmente pane per le proprie fauci affamate di giustizia.
La formazione americana, è bene dirlo, non è che si sia riscoperta “contro” solo adesso: se intitoli un album “Full Communism”, come hanno fatto loro nel 2015, gli spazi interpretativi che lasci sono davvero pochi. Con questo Cost Of Living, però, i Downtown Boys si mettono davvero a fare le cose sul serio, attraversando il confine tra poco-più-che-amatorialità e professionismo. Lo fanno in primis avvalendosi del supporto della Sub Pop, che è un sigillo di qualità mai fine a se stesso, e in secondo luogo scegliendo per la produzione dell’album Guy Picciotto, uno che dai Fugazi in poi non ha niente da imparare da nessuno in quanto a “protesta”.
Il risultato è un disco affilato che si schiera dalla parte delle minoranze senza distinzione alcuna, che prende spunto dalle trovate del POTUS per scandagliare ciò che non va (“A wall is a wall, a wall is just a wall / A wall is a wall and nothing more at all”, dall’esplicita A Wall). I Downtown Boys ci riescono facendo proprio il verbo punk/hardcore ma mischiandolo con progressioni à la Swans come nel primo minuto di Because You, con un po’ di vero indie rock di stampo Replacements come in I’m Enough (I Want More) o col post punk di Lips That Bite, il tutto alla velocità della luce.
I versi in doppia lingua, inglese e spagnolo, della frontwoman Victoria Ruiz ricollegano la band tanto a maestri della ribellione come i Rage Against The Machine quanto a certe abrasioni di scuola Pixies. Ma, nonostante i riferimenti prestigiosi possano essere enumerati a decine, quello dei Downtown Boys è un percorso in fin dei conti molto personale, che non può essere derubricato alla sola voce punk rock né ridotto a una sminuente serie di punti di contatto.
Non sarà la musica, neanche quella dei Downtown Boys, a salvare le sorti dell’umanità, ma spesso c’è bisogno di qualcuno che ricordi per cosa vale la pena lottare e quale sia il vero prezzo della vita, prima di ritrovarsi con quattro spicci in tasca e il futuro mandato in frantumi.
(2017, Sub Pop)
01 A Wall
02 I’m Enough (I Want More)
03 Somos Chulas (No Somos Pendejas)
04 Promissory Note
05 Because You
06 Violent Complicity
07 It Can’t Wait
08 Tonta
09 Heroes (Interlude)
10 Lips That Bite
11 Clara Rancia
12 Bulletproof (Outro)
IN BREVE: 3,5/5