Undertow, infatti, è rispetto al predecessore un lavoro decisamente più pesante, votato più allo stoner che al britrock e che del grunge prende stavolta gli insegnamenti di Soundgarden e Alice In Chains piuttosto che dei Nirvana, che continuano ad aleggiare nei dintorni ma a distanza di sicurezza. Lo scurissimo minuto di Introduction apre le porte a Running Wild e si capisce subito di che pasta è fatto il disco: riff granitici innestati su una sezione ritmica che pesta di brutto (a cui si è aggiunto il bassista Rob Graham, assoldato per incidere qualche traccia e per fare densità durante i live). Di accondiscendente nella chitarra di Eoin c’è ben poco, la sua sei corde in “Undertow” è tutta distorsioni e aggressività, nella title track strumentale, in Never Awake e soprattutto in Standing In The Cold, brano più lungo e scuro dell’album.
In un paio di momenti i Drenge tornano a certo indie rock che venava l’esordio: è il caso di Favourite Son che suona tanto Arctic Monkeys (e non è forse un caso che il produttore Ross Orton abbia lavorato nel loro “AM”) e del primo singolo We Can Do What We Want. Ma anche della bellissima melodia di The Woods, brano malinconico in cui le sferzate strumentali si alleggeriscono fornendo una gradevole variabile all’intero lavoro.
Questo sophomore dei Drenge – così come l’esordio del 2013 – è ampiamente derivativo ma merita rispetto, in primis perché segna una netta evoluzione della band mettendo in mostra un interessante ventaglio di influenze, in secondo luogo perché dal vivo questi nuovi brani saranno una bomba anche più dei vecchi, c’è da scommetterci.
(2015, Infectious Music)
01 Introduction
02 Running Wild
03 Never Awake
04 We Can Do What We Want
05 Favourite Son
06 The Snake
07 Side By Side
08 The Woods
09 Undertow
10 Standing In The Cold
11 Have You Forgotten My Name?
IN BREVE: 3/5