L’annientamento dei nativi americani resterà per sempre una delle pagine più tristi della colonizzazione europea in America, impossibile da cancellare neanche passassero altri mille anni. “Meridiano di sangue”, il romanzo di Cormac McCarthy del 1985, narra bene l’immane violenza con cui ciò avvenne, ponendo le basi di una revisione dell’immaginario western per come decine di pellicole ce l’hanno sempre presentato.
Dylan Carlson quel romanzo deve averlo letto decine di volte, tanto da farne una ricorrente fonte d’ispirazione nella sua discografia. Era già successo nel 2005 con “Hex: Or Printing In The Infernal Method” dei suoi Earth e succede nuovamente adesso con Conquistador, nelle intenzioni di Carlson la sonorizzazione di un western in cui il protagonista è per l’appunto un conquistador che si muove in quell’ormai leggendario Sud Ovest degli attuali Stati Uniti.
Le cinque tracce interamente strumentali che compongono l’album rispondono all’immaginario drone cui Carlson ha abituato negli anni, ma non in senso stretto. È un drone polveroso e secco quello di “Conquistador”, una lunga e affilata lama che penetra sempre più a fondo in una terra arida e mortifera, in cui il protagonista del viaggio si perde senza alcuna possibilità di ristabilire i contatti con la civiltà, quella urbana ma anche e soprattutto quella umana. Una dimensione applicabile a qualsiasi contesto, di qualsiasi epoca della società occidentale, coi suoi fallimenti e le sue contraddizioni.
Riverberi e dilatazioni sono la costante della chitarra di Carlson, che dipinge così paesaggi sonori in cui la linea dell’orizzonte è sempre lontanissima, sottolineatura di una distanza tanto fisica quanto mentale. Chi accompagna Carlson in questo percorso apparentemente solitario? Non c’è la sua band alle spalle, le figure sono però due: Emma Ruth Rundle alla chitarra e la moglie Holly alle impalpabili percussioni. E poi c’è Kurt Ballou alla produzione, circostanza certo non da poco nel raggiungimento del risultato finale.
Ancora una volta il tocco chitarristico di Dylan Carlson fa scuola, espressivo come pochi e narrante come nessun altro pur in assenza di parole vere e proprie. “Conquistador” ha una natura particolare, è vero, ma s’incastra alla perfezione nella discografia di Carlson palesandosi come una faccia di un poligono ben più complesso.
(2018, Sargent House)
01 Conquistador
02 When The Horses Were Shorn Of Their Hooves
03 And Then The Crows Descended
04 Scorpions In Their Mouths
05 Reaching The Gulf
IN BREVE: 3,5/5