“Outer ring” è una definizione con cui EMA è cresciuta, spiega, e indica quell’area della città dove le persone economicamente svantaggiate vivono emarginate e in cui confluiscono quelle costrette a lasciare le zone rurali per raggiungere la città e trovare un lavoro.
Erika Michelle Anderson, del South Dakota, mid-U.S.A., racconta, in questo Exile In The Outer Ring, l’esilio in questa terra di mezzo, di confine, di nessuno; perché in fondo nessuno la vuole. Povertà, emarginazione, piaghe sociali, tossicodipendenza, crisi esistenziali e disagio della civiltà. Ma questa terra infuocata corrisponde anche a una regione dell’animo umano, di quell’animo alla ricerca di un equilibrio e di un posto migliore nel mondo; e magari anche di un posto di lavoro per guadagnare i soldi necessari a pagare le spese del dentista (Down And Out).
L’album della cantautrice suona, dunque, malinconico, sofferente, preoccupato di dare una voce a chi non riesce ad averne una, benché non angustiato o avvilito, come ci si potrebbe aspettare da queste premesse. Infatti, l’ago della bilancia punta ora verso la crudezza del dolore e della disperazione (i muri di suono à la Sonic Youth), ora verso la possibilità di riscattarsi, anche solo con la speranza, all’interno di un equilibrio dinamico che non trasforma quindi il lavoro in un omaggio alla sofferenza e una critica fine a se stessa.
Già dall’intro, con tocchi reverse e abbondanza di reverbero nella voce, si stabiliscono le coordinate spaziali e atmosferiche del lavoro: sognanti, lontane. Giornate di pioggia o arido desertico agonizzante. In Breathalyzer EMA ci mostra l’aspetto più macabro della condizione esistenziale dell’album, con sonorità drone e psichedeliche su andamento pesante e ansimante, che fanno da sfondo ad una linea vocale intensa e dolorosa.
Si prosegue su queste modalità fino a Blood And Chalk, più rilassata, e Down And Out, in cui la ritmica si fa più coinvolgente. Fire Water Air LSD è un pezzo con synth marciante e ritmo anni ’80 che richiama l’industrial, caratteristiche che si ripresentano in 33 Nihilistic And Female, pezzo à la Marilyn Manson, solo un po’ più roseo. Dopodiché, nella sussurrata e dolce Receive Love ritorna la malinconia e la delicatezza del folk.
Erika Michelle Anderson crea un electro-drone-psychedelic folk con accuratezza e originalità da donna matura, con gli occhi aperti sul mondo e su se stessa e un po’ outsider, con continui omaggi ai Throbbling Gristle, Trent Reznor, Sonic Youth e Nirvana, creando forme uniche di rumori e micro-suoni. Si inserisce, cioè, a pieno titolo nell’elenco di cantautrici tra cui capeggia PJ Harvey. In piena epoca Trump, questo disco sembra perfetto per ricordare l’importanza della musica d’autore come mezzo di protesta.
(2017, City Slang)
01 7 Years
02 Breathalyzer
03 I Wanna Destroy
04 Blood And Chalk
05 Down And Out
06 Fire Water Air LSD
07 Aryan Nation
08 33 Nihilistic And Female
09 Receive Love
10 Always Bleeds
11 Where The Darkness Began
IN BREVE: 4/5