Partenope è così, accogliente con chi arriva, sodale con i suoi figli, ti abbraccia, ti stringe nella sua morsa, fatta di increspature di suoni e colori stratificatisi nel corso dei secoli. I partenopei EPO nel loro ultimo full lenght datato 2012 (“Ogni cosa è al suo posto”) ci avevano lasciato rassicurandoci che ogni cosa fosse al proprio posto, in quell’incastro cromatico tra attitudini noise, a tratti stoner e ricami cantautorali tessuti dalla fervida vena scrittoria di Ciro Tuzzi.
Sì, c’è stata anche la parentesi “Serpenti” del 2015, un EP figlio di una campagna crowdfunding su Musicraiser. Disco dalle tinte più cupe e melanconiche, focalizzate su quelle venature più alternative degli esordi (“Il mattino ha l’oro in bocca”, “Silenzio assenso”), al confine mediano tra muri sonori post rock e spiccata verve melodica. Succede, poi, che il richiamo delle proprie radici sia inevitabile e che quell’abbraccio si concretizzi in un lavoro che sposti la traiettoria del proprio percorso artistico, senza snaturarlo bensì arricchendolo di sfumature.
Ed è così che si arriva a Enea, quarto LP in studio con una formazione che vede Ciro Tuzzi alla voce e chitarre, Michele De Finis alle chitarre, Jonathan Maurano alla batteria, Mauro Rosati alle tastiere e Gabriele Lazzarotti al basso. Scritto totalmente in napoletano, è stato arrangiato e prodotto tra Lecce, Roma e Napoli sotto la sapiente egida, in cabina di regia, di Daniele “Ilmafio” Tortora, già a lavoro con Daniele Silvestri, Afterhours e Diodato. Ad impreziosire il tutto i fiati di Roy Paci e Vito Scavo e gli archi di Rodrigo D’Erasmo (Afterhours) e Angelo Maria Santisi.
Il disco si muove su territori musicali di confine, in cui si amalgamano atmosfere della tradizione napoletana con sonorità baltiche e d’oltreoceano. È un melting pot che unisce istanze artistiche lontane geograficamente e diverse concettualmente, almeno in apparenza. Addò staje tu, primo brano dell’album, si apre con questo riff di chitarra circolare e ipnotico su cui si adagiano delicati archi che generano uno scenario umbratile e rarefatto, humus per l’innesto del cantato cangiante di Tuzzi. Sul finale i fiati donano maggiore solennità a un brano già di suo ben costruito.
’A primma vota, con il suo ritornello liquido e catchy, è un pezzo dall’anima electro funk che mostra una veste pop in un testo che sa di rinascita, di primi battiti, di vita. Una leggiadra intro di violini apre il blues trascinante di Nun ce guardammo arete, mentre in Dimmello mo’ la ritmica dispari dei beat sincopati si interseca ai riverberi della chitarra di De Finis suonata con l’archetto à la Jónsi dei Sigur Rós. L’attitudine internazionale degli EPO emerge anche in Sirene, con quell’incedere dei fiati nel ritornello che ricorda atmosfere à la Beirut, e in Auciello, dove le linee di piano evocano ambienti sonori sospesi e refrattari alla luce, vicini ai Massive Attack di “Paradise Circus”.
“Enea” è un disco che ha un’idea di fondo coraggiosa: accostare testi in napoletano a sonorità dal background esterofilo. Si percepisce, sin dalle prime battute, che il rischio, in realtà, è una scommessa vinta ampiamente. Una scelta vincente soprattutto perché la cultura partenopea ha in sé vivido il germe della contaminazione, che rende necessaria l’emancipazione dal rischio di autoreferenzialità e questo, gli EPO, lo hanno capito meravigliosamente.
(2019, SoundFly)
01 Addò staje tu
02 ‘A primma vota
03 Nun ce guardammo arete
04 Dimmello mo’
05 Luntano
06 Damme ‘na voce
07 Sirene
08 Auciello
09 Malammore
10 Ombra si’ tu
11 Appriesso ‘e stelle (Bonus Track)
IN BREVE: 3,5/5