Tempo di novità per gli inglesi Esben And The Witch: innanzitutto la scelta, non così convenzionale, di uscire con il loro terzo album appena un anno dopo il precedente. Poi l’addio a una sicurezza discografica come la Matador e la decisione di fondare – e mettere subito in moto – una propria etichetta, la Nostromo Records. Infine l’affidamento della produzione del nuovo lavoro a un guru come Steve Albini, fenomeno del mixer, sì, ma molto distante dalle sonorità che avevano caratterizzato i primi due capitoli della discografia degli Esben And The Witch.
Trovandosi questo A New Nature fra le mani il cambiamento risulta più che sensibile: le suggestioni eteree dell’esordio “Violet Cries” vengono pressoché definitivamente meno, la prova vocale di Rachel Davies ne esce fuori un po’ smorzata in quanto a intensità, ma il tutto segna una nuova e interessantissima dimensione per la band.
La mano di Albini è pesante, pesantissima. Il produttore prende la new wave degli Esben And The Witch e la rivolta come un calzino: così, se prima erano le venature più dreamy ad avere la meglio, adesso è la parte primordiale di quel filone a venir fuori. Una No Dog, ad esempio, è post punk allo stato puro; in Blood Teachings, invece, la Davies smette di accostarsi ad Elizabeth Fraser per vestire i panni della Siouxsie (o della Lydia Lunch, se preferite) di turno, con tutte le conseguenze del caso; Those Dreadful Hammers suona tremendamente Swans, le distorsioni si fanno urticanti e il concetto di fondo del disco si rivela in tutta la sua dirompenza.
E poi c’è quella The Jungle che nei suoi oltre quattordici minuti di durata si srotola come una lunga invocazione pagana in cui la band mette dentro un po’ di tutto: la partenza ricorda ciò che erano i tre inglesi, ma il prosieguo è un climax ascendente fatto ancora di distorsioni, percussioni aggressive e un sax funereo che non lascia spazio ad interpretazioni.
Con “A New Nature” gli Esben And The Witch compiono un importante passo nella loro personale evoluzione artistica, dimostrando anche un certo coraggio nel non percorrere strade già battute. Le sonorità ovattate dei primi due album vengono soppiantate da sferzate che di morbido hanno ben poco e l’incubo – pur sempre protagonista dell’Esben-pensiero – passa dall’onirico al reale in appena otto tracce.
(2014, Nostromo)
01 Press Heavenwards!
02 Dig Your Fingers
03 No Dog
04 The Jungle
05 Those Dreadful Hammers
06 Wooden Star
07 Blood Teachings
08 Bathed In Light
IN BREVE: 3/5