Non è affatto facile, di questi tempi, che una giovane band riesca ad azzeccare un sophomore. A maggior ragione se il primo lavoro è stato fra i più acclamati del proprio anno di riferimento, come nel caso degli Esben And The Witch. “Violet Cries” lo fu decisamente nel 2011, grazie alla sua new wave abilmente attualizzata, a un pregevole lavoro di synth e a un concept scurissimo che andava dalle lyrics ai titoli stessi dei brani, passando per l’artwork dell’album e le esibizioni dal vivo del trio inglese. Cosa fare per non rimanere inesorabilmente ancorati – come accade a troppi altri – a un debutto folgorante?
Le band con gli attributi delle scorse decadi avrebbero risposto: evoluzione, parola a quanto pare sconosciuta a gran parte della new generation. Rachel Davies e i suoi due compagni, invece, per questo Wash The Sins Not Only The Face decidono di non ripercorrere a ritroso il sentiero dell’esordio, tenendo a mente gli elementi caratterizzanti della propria indole e guardando per il resto verso altri lidi. E questo “resto” è essenzialmente legato alle strutture musicali dei nuovi brani, meno architettate e dove possibili più lineari.
Gli strati di synth ora rumoristici ora ambientali di “Violet Cries”, qui si diradano e si alternano: abbiamo così qualche cenno shoegaze nell’opener Iceland Spar, un paio di proposte prettamente dreamy come Slow Wave e Despair – nei quali la prova vocale della Davies s’incastona alla perfezione – o, ancora, momenti altamente melodici e pop come When That Head Splits e il singolo Deathwaltz, a testimonianza dello smussamento delle asperità darkwave dell’esordio. Così come nella stupenda The Fall Of Glorieta Mountain, vicina per semplicità e incedere al sound dei The xx.
Nonostante ciò, non mancano richiami al recente passato e a tonalità tendenti al nero come Shimmering, Yellow Wood (il brano “top” fra i dieci della tracklist) e la conclusiva Smashed To Pieces In The Still Of The Night, in cui la chitarra di Thomas Fischer e le percussioni di Daniel Coperman tornano a levare un po’ di spazio al protagonismo canoro della streghetta Rachel, intenta comunque a salmodiare come negli episodi più intensi dell’esordio. Gli Esben And The Witch si confermano realtà interessantissima, superando con eleganza e disinvoltura lo scoglio del secondo album.
(2013, Matador)
01 Iceland Spar
02 Slow Wave
03 When The Head Splits
04 Shimmering
05 Deathwaltz
06 Yellow Wood
07 Despair
08 Putting Down The Prey
09 The Fall Of Glorieta Mountain
10 Smashed To Pieces In The Still Of The Night