Chiunque abbia sognato, nel corso della sua vita, anche per qualche giorno soltanto, grazie all’affascinante e romantico motto del Do It Yourself, dovrebbe prestare attenzione a qualsiasi nota porti la firma di Ian MacKaye. Anche perchè, nel caso specifico dei The Evens, la qualità della roba è decisamente buona. Nati all’indomani dello stop alla cavalcata Fugazi, il duo di base a Washington non ha certo brillato per prolificità: qualche anno di silenzio e poi due lp spiattellati in rapida sequenza nel 2005 e nel 2006. Poi altro silenzio e adesso questo The Odds, terzo capitolo del progetto portato avanti da MacKaye insieme alla moglie Amy Farina. La formula studiata nell’umido del laboratorio Dischord è semplice come quella dell’acqua: togliere qualsiasi orpello, qualsiasi magheggio da studio, per dedicarsi in tutto e per tutto alla sostanza dei brani. Insomma, pieno stile MacKaye, uno che ha dedicato la vita all’integralismo artistico. Ian sta alle chitarre, Amy si piazza dietro le pelli, e questo è quanto. Nel mezzo, l’incessante inseguirsi delle voci dei due. A volte accavallate, come nell’opener King Of Kings o in Architects Sleep. A volte separate: vedi un brano come Wanted Criminals, in cui solo Ian sputa sentenze marchiando a fuoco l’episodio più aggressivo (nel senso fugaziano del termine) del disco, oppure Warble Factor e Broken Finger, in cui è invece Amy a farla da padrona col suo incedere molto a là PJ Harvey. Altre volte ancora intente in un botta e risposta che mostra un feeling che – non a caso – va oltre la dimensione meramente musicale, come nel caso di I Do Myself o This Other Thing. Poi ci sono l’interamente strumentale Wonder Why e il divertissement di Competing With The Till, e quelle lyrics che mischiano la rabbia della gioventù, ancora sincera, a una ritrovata e tagliente vena ironica che attraversa saltuariamente le tracce. Per chi ha amato i Fugazi e le loro asperità da basso profilo un album come “The Odds” non rappresenterà di certo una fulminazione, pur nella sua godibilità: ma suona Dischord dalla prima all’ultima nota, puzza di polvere impiastricciata sugli amplificatori dal calore, odora Ian MacKaye lontano un miglio. E tanto basta per fargli meritare il nostro apprezzamento.
(2012, Dischord)
01 King Of Kings
02 Wanted Criminals
03 I Do Myself
04 Warble Factor
05 Sooner Or Later
06 Wonder Why
07 Competing With The Till
08 Broken Finger
09 Architects Sleep
10 Timothy Wright
11 This Other Thing
12 Let’s Get Well
13 KOK
A cura di Emanuele Brunetto