Periodicamente Richard Patrick prova a rimettere in piedi la carcassa dei Filter e a fargli muovere qualche passo nella giusta direzione. Solo che lui non è Gesù Cristo, la band non è Lazzaro e il miracolo finora non pare essergli granché riuscito.
Crazy Eyes, settimo lavoro in studio di un progetto che ha radici negli anni Novanta (e lì è rimasto), riparte da quella cattiveria che trasuda una finzione rintracciabile anche a distanza di chilometri, come uno squalo fiuta una goccia di sangue nell’oceano. È il consueto mood da “wannabe Trent Reznor” che accompagna Patrick nelle dodici tracce del disco, peccato che per ambire anche solo ad avvicinare il percorso dei Nine Inch Nails occorrerebbe un quantitativo di “malattia” che i Filter (purtroppo o per fortuna per loro, a seconda dei punti di vista) non hanno mai avuto.
Alcuni spunti, vedi le esplosioni contenute nel trittico iniziale Mother E, Nothing In My Hands e Pride Flag o l’incedere arrembante di Tremors, potrebbero anche essere parte di un accettabile tributo, ma “Crazy Eyes” si svuota poco a poco, inesorabilmente, lasciando intravedere un’ossatura alternative rock anch’essa finta e ancora più urticante di quella industrial (vedi Kid Blue From The Short Bus, Drunk Bunk o Your Bullets).
Quando poi, dopo oltre trequarti d’ora d’ascolto, parte l’acustica ambientale di (Can’t She See) Head Of Fire, Part 2 e s’intuisce come Patrick abbia voluto compiere un ulteriore insano tentativo di chiudere con la sua personalissima “Hurt”, allora sì che ne abbiamo davvero abbastanza e clicchiamo il tasto stop, nonostante manchi pochissimo alla fine.
(2016, Wind-Up)
01 Mother E
02 Nothing In My Hands
03 Pride Flag
04 The City Of Blinding Riots
05 Take Me To Heaven
06 Welcome To The Suck (Destiny Not Luck)
07 Head Of Fire
08 Tremors
09 Kid Blue From The Short Bus, Drunk Bunk
10 Your Bullets
11 Under The Tongue
12 (Can’t She See) Head Of Fire, Part 2
IN BREVE: 1,5/5