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Fire! Orchestra – Exit!

Marian Wallentin: voice; Emil Svanangen: voice, guitar; Sofia Jernberg: voice; Niklas Barno: trumpet; Magnus Broo: trumpet; Emil Stransberg: trumpet; Mats Aleklint: trombone; Mer Ake Holmlander: tuba; Anna Hogberg: alto saxophone; Mats Gustafsson: ten saxophone, live electronics; Fredrik Ljungkvist: baritone saxophone, clarinet; Christer Botheʹn: bass clarinet, guimbri; Jonas Kullhammar: bass saxophone; Andreas Soderstrom: guitar; Soren Runolf: guitar; David Stackenas: guitar; Sten Sandell: piano, electronics; Joachim Nordwall: electronics; Thomas Halonsten: organ; Johan Berthling: electric bass; Joel Grip: bass; Joe Williamson: bass; Dan Berglund: bass; Andreas Weliin: drums; Thomas Mera Gartz: drums; Joyan Holmegard: drums; Raymond Strid: drums.

Sarebbe piuttosto complesso (ed oltremodo confuso) disseminare i nomi dei membri della Fire! Orchestra a casaccio, lungo le righe di questa recensione. E sarebbe indubbiamente delittuoso, per quanto mi riguarda, non citarli tutti; uno per uno. Non è né una scusa per tediarvi, né un’ottusissima trovata per allungare il brodo: è solo l’unico modo che ho per stringer loro la mano, pubblicamente, senza che me ne sfugga mezzo. Per cui eccoli lì, in cima, dov’è giusto che stiano. Promossi con lode, dal primo all’ultimo, per aver dato vita ad una prova spettacolare, capace di soddisfare una pluralità di palati ottenendo il medesimo risultato: un comprensibile, invelabile entusiasmo.

Registrato dal vivo al Fylkingen di Stoccolma per la durata complessiva di quarantaquattro minuti, Exit! è un’orgiastica cerimonia jazz difficilmente soprassedibile o ricattabile, edificata nel solco della più gloriosa tradizione Big Band (pensate alla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, alla Sun Ra Arkestra o ai Centipede di Keith Tippett). Un agglomerato sonoro perfettamente informe, matematicamente smodato, incontrollabilmente sorvegliato che si presenta scientemente scisso in due parti che ne coltivano l’implacabile climax. Part One segna l’avvio in nome del bop: basso e batteria la fanno da padrona, riscaldando pian piano i riflettori preposti ad illuminare i restanti membri della compagnia. Primo fra tutti, la splendida voce di Marian Walletin, presto seguita dalla magnifica prova attoriale di sfacciati rigurgiti elettrici, dispotici singulti d’ottone, epilettiche scaglie di legno ed avorio che l’abbandoneranno, non prima d’un ultimo alito, dopo 10:38.

E’ il momento del suo monologo, un’oasi lirica alla quale succede la ferrea sensualità della reprise, che scivolando educatamente sull’hammond cambia ancora forma e sostanza accarezzando il caos, fino a chiudersi in un fumoso ricciolo. Part Two. Ancora la voce a fare da guida, stavolta quella di Sofia Jernberg, a recitare la pace. Poi irrompe il primo elemento estraneo. Il presentimento, la percezione di un’atmosfera, la minaccia che non si vede ma si sente: sinistri insetti elettronici iniziano a ronzare intorno, poi improvvisi scricchiolii di pianoforte, un gemito continuo. Infine il ritorno in campo di Johan Berthling, Andreas Werliin e Mats Gustafsson – ovvero il nucleo originario dei Fire! attorno al quale ruota, sin dal principio, l’intero progetto – determina ancora una volta genotipo e fenotipo del brano: un tripudio sfrenato, che pare senza fine. Un’epifania corale di musica totale, la danza tribale che si abbandona, pian piano, al circo tremendamente serio di vocalizzi ed acrobazie.

Recuperate senza silenzi le forze, parafrasando Piero Ciampi, non v’è tregua alcuna prima dell’assalto finale. Lo sfogo conclusivo dell’album ne è l’ultima, tempestiva deflagrazione: il coup de theatre tutto sommato previsto, eppure mai come adesso tanto gradito. “Exit!”, lo ribadisco a gran voce, non è il disco giusto per l’appassionato jazzofilo. “Exit!” è il disco giusto e basta. “Non si tratta – si legge giustamente all’interno della scheda di presentazione ufficiale – di un impenetrabile meltdown, ma di un’odissea che segue un chiaro cammino, con svolte post-rock/kraut lungo la via. Fire! significa bruciare la tradizione e tracciare nuove rotte, nuovi approcci per l’improvvisazione: approcci che guardano al garage punk, all’elettroacustica e al noise dell’industria pesante”. Brava la Rune Grammofon. Bravi tutti.

(2013, Rune Grammofon)

01 Part One
02 Part Two