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Florence + The Machine – Dance Fever

“Una favola in quattordici brani”, così a Marzo Florence Welch aveva annunciato la sua quinta opera Dance Fever. Prodotto dall’artista insieme a Dave Bayley (Glass Animals), Jack Antonoff (The Bleachers) e Kid Harpoon, il nuovo lavoro del progetto Florence + The Machine si muove tra una moltitudine di sonorità che prendono il via dal pop barocco e orchestrale al quale ci avevano abituati, spingendosi verso ritmi disco, ballate folk, elementi industrial e pop progressivo, citando apertamente come principale influenza il poliedrico padrino del punk Iggy Pop, oltre a Nick Cave, PJ Harvey, Emmylou Harris e Lucinda Williams.

L’ispirazione per titolo e concept deriva dalla misteriosa “piaga del ballo”, una strana epidemia (o più probabilmente un caso di isteria di massa) che si verificò più volte durante il Rinascimento, di cui si ricorda un episodio celebre che colpì almeno quattrocento persone nel luglio del 1518 a Strasburgo in Alsazia: una donna di nome Troffea iniziò a ballare in modo bizzarro e convulso per le strade, senza mai arrestarsi, e a lei si aggiunsero via via altri individui nei giorni successivi; le danze si protrassero per almeno un mese, portando molti di loro, stremati, alla morte.

Tale storia impressionò molto Florence ben prima dell’avvento della pandemia, al punto tale che l’idea originaria fosse quella di incentrare l’intero disco su questo argomento, ma l’arrivo di una piaga reale e contemporanea la condusse a rivedere il progetto. Fiabe e racconti antichi del folklore, si sa, sono pieni di elementi spaventosi, dunque le danze oscure e rituali divengono teatro e coreografia che avvolgono liriche focalizzate sul ruolo della donna, analizzando alcuni aspetti della vita personale ed artistica di Florence, traendo spunto da film folk horror, tra cui il recente “Midsommar” (2019) di Ari Aster e la gemma “The Wicker Man” (1973) di Robin Hardy (no, non il remake brutto con Nicholas Cage, quello originale), novelle gotiche, folklore medievale e dalle eroine letterarie e mitologiche ritratte dai Preraffaelliti nell’Ottocento.

Bellezza e mistero sono rafforzati anche dal lato estetico, con gli scatti e i video curati da Autumn De Wilde che ritraggono Florence come una divinità angelica e fatale allo stesso tempo, uscita da un dipinto preraffaellita di Dante Gabriel Rossetti, forse la sua “Persefone” (1874), a cui è somigliante perfino nella posa delle mani, e non sarebbe certamente un caso, data la presenza di una farfalla/proto-falena sulla copertina, di cui un antico esemplare porta proprio il nome “Prodryas persephone”.

Ad aprire le danze è il crescendo di percussioni, cori e violino dell’epica King, che esprime il conflitto interiore tra il desiderio di costruire una famiglia e il voler proseguire al contempo la propria carriera, concetto ripreso nella minimale traccia avant folk Heaven Is Here, la quale descrive la musica come la reale idea di paradiso personale di Florence, che tuttavia la assorbe inesorabilmente, allontanandola da tutto il resto. Tra i momenti di spicco non passano certamente inosservati il trionfo di ritmi, tra archi, synth e chitarra acustica, scaccia-ansie di Free e l’alternanza di atmosfere plumbee e trascendenti della title track (in quanto sinonimo di “Dance Fever”) Choreomania.

A dominare incontrastata è la sola voce di Florence, oltre a pochi tocchi di violoncello e mellotron, in Back In Town, a cui seguono l’ironia dei cori della ballad Girls Against God, sfogo contro lo stop obbligato dei live durante la pandemia; un altro brano cardine caratterizzato dalla potenza dei fiati e della chitarra elettrica, Dream Girl Evil, satira gratuita sulle aspettative contradditorie della società nei confronti delle donne, che vede inoltre la partecipazione di Maggie Rogers ai cori, e l’interludio di basso e celesta sottile Prayer Factory, che cede il passo all’isolamento come condanna, raccontato dalle melodie tragiche di Cassandra.

L’incedere sintetico e claustrofobico di Daffodil si snoda attraverso il tentativo di ritrovare ottimismo verso il futuro nonostante le avversità, conducendo alle atmosfere disco di My Love, piccola poesia triste trasformata da Bayley in una traccia vivace ed energica, a cui si accodano i passi pesanti di Restraint, e la chiusura accompagnata dal piano e dalla chitarra placida dell’acustica The Bomb, e un omaggio ai performer espresso con l’armonica Morning Elvis.

Idealmente accostabile all’ultima produzione di Halsey, protagonista in prima persona del suo ottimo concept “If I Can’t Have Love, I Want Power” (2021), la danza eterna e forsennata di Florence ci trascina via con sé e ci fa entrare nel suo mondo, del quale ci sarebbe ancora tanto da raccontare: ambiziosa, in termini di sound, testi e ricerca, “Dance Fever” è la parabola di una donna che parla alle donne (ma non solo), diario personale che svela dettagli su tanti punti chiave, tra sfida, sacrificio personale, relazioni difficili e ansie, diventando un vero e proprio invito alla conquista di quella libertà, e soprattutto parità, che è ancora tanto, troppo, lontana.

(2022, Polydor)

01 King
02 Free
03 Choreomania
04 Back In Town
05 Girls Against God
06 Dream Girl Evil
07 Prayer Factory
08 Cassandra
09 Heaven Is Here
10 Daffodil
11 My Love
12 Restraint
13 The Bomb
14 Morning Elvis

IN BREVE: 4/5