Vuoi il grande lascito di “Channel Orange” (2012), vuoi la campagna mediatica costruitagli attorno, Frank Ocean si attesta come uno degli artisti più complessi dell’ultima generazione. Ex appartenente della Odd Future, capitanata da Tyler The Creator, si è distinto per la sua riservatezza, nonché il suo disagio nei confronti della fama, tanto da rimanere al di fuori della vita mondana, non essere molto attivo social-mente e rifiutare, all’apice della sua carriera, collaborazioni musicali. Tanto da far pensare che avrebbe fatto la storia con il suo unico album di debutto, come molti altri artisti nel passato, vedi tra gli altri Jeff Buckley e Lauryn Hill. Tutto ciò fino a quando non è stato reso disponibile sul suo sito un visual che lasciava pensare al work in progress di un album. Quell’album si è poi rivelato essere “Endless”, rilasciato per portare a termine il contratto con la etichetta discografica. Esce invece indipendentemente questo Blonde.
La nostalgia e l’irrequietezza sono il leitmotiv di tutto l’album. Nell’apertura, Nikes, il ricordo di Travyon Martin, afroamericano ucciso dalla polizia, e dell’uragano Katrina che lo ha espatriato dalla sua città natale New Orleans. Sebbene sia in tema con il resto dell’album per quanto riguarda le liriche, troviamo discordanza per i suoni, risultando essere il brano più disorientante per quell’uso smodato di sintetizzatore e distorsore vocale, che ritroviamo per la seconda e ultima volta nell’ultima Futura Free. Ricordi di amori finiti o non propriamente consumati in Ivy e nella struggente White Ferrari. A dar maggior adito alla sua ambiguità sessuale, Ocean narra di amori repressi in Self Control e Good Guy.
La solitudine in Solo: Frank Ocean ha l’accompagnamento di un organo, a ricordare un brano di chiesa, e attraverso continui giochi di parole ”solo” diventa “so-low”, condizione che può essere alleviata attraverso l’utilizzo di droghe (“getting hihg”) o di un rapporto sessuale, “inhale” diventa “in hell”. La reprise la ritroviamo alla traccia numero dieci, completamente affidata ad André 3000 che in un unico lungo verso ricorda perché sia uno dei rapper di maggiori capacità, rappando sulla solitudine vista dalla sua prospettiva. Famiglia e giovinezza ricorrono in Be Yourself, audio motivazionale della madre, in cui questa lo ammonisce sull’utilizzo delle droghe e lo sprona a distinguersi dalla massa, e di nuovo in Futura Free, che chiude il cerchio con Nikes per affinità di suoni.
Le collaborazioni passano in sordina, (fatta eccezione per la già citata con André 3000). Anzi, soltanto quando si prende visione degli artisti accreditati ci si rende conto che Frank Ocean ha voluto il genio di innumerevoli artisti quali Kendrick Lamar, Beyoncé, Yung Lean, James Blake, Jonny Greenwood, Jamie xx, lasciando intendere che siano stati fondamentali più per supporto e condivisione di idee che per vocalizzi, comparendo al più in qualche coro. Senza dimenticare, lato produzione, artisti come Rick Rubin e Brian Eno famosi per album epici e di grande risonanza, che in questo caso sono stati interpellati per rendere il suono il più semplice e minimale possibile.
La spensieratezza che si trovava, a tratti, in “Channel Orange” non ha alcun spazio in “Blonde”: l’animo tormentato di Frank Ocean è espresso in ogni canzone e in ogni singolo verso. Rispetto all’album di debutto emergono maggiormente le sue doti di poeta e scrittore e si affina ulteriormente la capacità di trasmettere emozioni, rendendole quasi palpabili per l’ascoltatore, l’angoscia con cui convive l’artista si riflette nell’album, che a sua volta diventa complesso da ascoltare per la sua profondità. Come per “Channel Orange”, sembra che ogni suo album sia eterno e possa soddisfarci appieno nell’attesa del prossimo.
(2016, Boys Don’t Cry)
01 Nikes
02 Ivy
03 Pink + White
04 Be Yourself
05 Solo
06 Skyline To
07 Self Control
08 Good Guy
09 Nights
10 Solo (Reprise)
11 Pretty Sweet
12 Facebook Story
13 Close To You
14 White Ferrari
15 Seigfried
16 Godspeed
17 Futura Free
IN BREVE: 4,5/5