Non so come sono riuscito ad arrivare alla fine di questa recensione del nuovo album dei Giardini di Mirò. E’ stato uno strazio, lo dico subito. Scrivessi ancora a penna avrei i piedi ricoperti di palle accartocciate; fumassi avrei le dita all’odor di nicotina. Non è facile parlare di un disco che emoziona tremendamente. Cerchi di non cadere nella ragnatela degli abbagli e di non farti trasportare troppo. Perché Good Luck proprio non può lasciare indifferenti e se lo fa con voi, datemi retta, lasciate perdere la musica e dedicatevi ad altro. Mi spiego, lo shock arriva dal suo colore. Un colore riconoscibile: creativo, autentico, ed empatico. Una gradazione scura, esattamente come le evocazioni di Memories, pezzo-fruscìo che apre l’album, o come l’espressione triste del volto picassiano in copertina. Perché, hai voglia a scrivere dischi pessimisti o di rottura, hai voglia a intitolarli con parole forti, turpiloqui o calembour intelligenti, se poi non li attrezzi del giusto colore. Il “buona fortuna” dei Giardini quindi, è un augurio che dice più di moltissimi album combat-indie dell’ultima ora. Un “augurio” in otto tracce a tutti noi che viviamo questo presente beffardo, e che non siamo preparati agli spigoli di una condizione sempre più enigmatica. “Qual è la mia taglia in questa società?” si domandano i Giardini in Flat Heart Society. “C’è un posto per noi per scoprire un nuovo modo per ballare nel fango?” mettono in bocca a una suadente Sara Lov in There Is A Place. “Buona fortuna!” Verrebbe da rispondere. Jukka, Nuccini e gli altri suonano un disco ombroso: elettricità grondanti languore, ballate crepuscolari, qualche ritmo (comunque obliquo), eco, riverberi, aperture ed esplosioni post rock. Come detto, con una tinta ben precisa e riconoscibile, particolarmente rappresa nella title-track e quando Rome individua nella Capitale molte delle irritazioni epidermiche del nostro mondo. “Ti stai guardando, ininterrottamente, in un silenzio religioso di fianco al fiume e alle canzoni scritte per te” cantano i Giardini con l’ausilio di Angela Baraldi e con l’affresco di un impianto musicale da applausi: batteria definitiva by Andrea Mancin (new entry al posto di Francesco Donadello), chitarre piangenti, tessitura tastieristica blu notte, pioggia di suoni profondi. E già so che sto riempiendo questo foglio di aggettivi, convinto che cancellerò tutto ripartendo da zero. Non è facile oggi trovare un disco che dica per te le parole che vorresti o che suona come vorresti che facesse. Così, mi sento di dire che – comunque andrà, ovunque finiremo, sani o spacciati, dispersi o presenti, padri o figli, vagabondi, vivi o morti, scettici o innamorati pazzi e qualsiasi sia la nostra taglia in questa società – essere qui è già una grande fortuna. Goodnight and good luck.
(2012, Santeria)
01 Memories
02 Spurious love
03 Ride
04 There Is A Place
05 Good Luck
06 Rome
07 Time On Time
08 Flat Heart Society
A cura di Riccardo Marra