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Girl Band – The Talkies

Poche settimane fa la morte di Daniel Johnston ha lacerato i cuori di molti – cantautore californiano che ha scritto dei sentimenti in maniera adamantina. Scevra di sovrastrutture, la sua carriera, e dunque la sua vita, ha dovuto fare i conti con la malattia mentale che, senza alterarne i contenuti, ha permeato le sue intime declinazioni artistiche. Non è il primo né sarà l’ultimo caso in cui arte e disagio mentale appaiono come rette parallele destinate ad autoalimentare il proprio corso.

Facciamo un passo indietro: è il Settembre del 2015 e i Girl Band, giovane band irlandese, hanno appena pubblicato il loro disco d’esordio “Holding Hands With Jamie”. Dara Kiely, leader della band, mette nero su bianco la propria depressione e i problemi di salute mentale che lo avevano attanagliato in quel periodo. Lo fa, insieme ai suoi sodali, in maniera diametralmente opposta alla scrittura proposta da Johnston, annichilendo qualsiasi forma di propensione melodica, con suoni asfittici e grezzi che evocano la potenza autodistruttiva dei fantasmi del malessere. Questo approccio, oltre a personalizzare il racconto del disagio, si è dimostrato seminale per la florida scena post punk dublinese, che nel 2019 vede il suo anno di grazia (Fontaines D.C., The Murder Capital).

Tuttavia, i Girl Band continuano a mantenere la loro cifra sonora rumorista e no waveanche in questo sophomore, The Talkies, che rifugge da qualsiasi forma canonica di melodia – che invece i gruppi sopra citati cercano – creando un clima claustrofobico. A favorire queste atmosfere hanno contribuito anche i luoghi in cui il disco è stato registrato: su tutti la Ballintubbert House– residenza storica dublinese in cui nacque Cecil Day Lewis, poeta e padre del premio Oscar Daniel Day Lewis – la cui ricercatezza architettonica sembrerebbe aver ispirato una musica antitetica, che predilige un laconismo sonoro, ben tenuto in piedi dal lavoro di produzione del bassista Daniel Fox.

Prolix è la intro, il primo atto di questo manifesto di inquietudine: il respiro irregolare di Kiely, in preda ad un attacco di panico – reale, non registrato a regola d’arte – si staglia su una base ripetitiva e nervosa in cui sembra intrappolato. Shoulderblades è infestata dal ronzio delle chitarre di Duggan prima dell’esplosione dei vaneggiamenti di Kiely su Ed Mordake, personaggio metropolitano dai due volti – uno in posizione normale e un altro dietro la nuca – protagonista di una leggenda partorita dalla penna del poeta Charles Lotin Hildreth. Going Norway ha una ritmica asfissiante per i piatti pestati in maniera collerica da Faulkner; il pezzo si chiude con le urla strozzate di Kiely che danno al finale un connotato adrenalinico.

La creazione di climaxascendenti nervosi è il marchio di fabbrica dei dublinesi e Salmon Of Knowledge ne è un fulgido esempio: il rumore sordo scaturente dall’incrocio di basso e chitarra, privati di qualsiasi attitudine melodica, fa da sfondo all’incedere del pezzo, quasi litanico, che esplode a metà in una tempesta noiseper poi ritornare al ronzio iniziale. Apici del decostruttivismo sonoro inscenato dai Girl Band sono la convulsa Laggard, nel cui maelströmfragoroso c’è spazio per una placida cantilena di Kiely, e la mastodontica Prefab Castle, summaperfetta del leitmotivdel disco.

“The Talkies” è un lavoro idiosincratico, non è un ascolto per orecchie abituate a suoni gentili. Allo stesso tempo è un disco di transizione, un termometro sonoro e testuale che racconta in maniera persuasiva il disagio mentale post-moderno.

(2019,Rough Trade)

01 Prolix
02 Going Norway
03 Shoulderblades
04 Couch Combover
05 Aibophobia
06 Salmon Of Knowledge
07 Akineton
08 Amygdela
09 Caveat
10 Laggard
11 Prefab Castle
12 Ereignis

IN BREVE: 4/5

Nasco a S. Giorgio a Cremano (sì, come Troisi) nel 1989. Cresco e vivo da sempre a Napoli, nel suo centro storico denso di Storia e di storie. Prestato alla legge per professione, dedicato al calcio e alla musica per passione e ossessione.

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