Dopo quella doppietta a stretto giro fatta da “Vultures” (2015) ed “Everything Ever” (2016), accoppiata che avrebbe steso anche un cavallo, figuriamoci noi, degli inglesi God Damn s’erano un po’ perse le tracce, a causa di vite private non sempre facili da affrontare. Il trio (ritornato tale adesso, dopo la fase duo attraversata per il disco di quattro anni fa) si rifà vivo con un lavoro che rispecchia alla perfezione la sua stessa natura di disco omonimo e di terzo atteso capitolo discografico.
Le caratteristiche dei God Damn, ovvero puntate grunge (prendete l’iniziale Dreamers, una dichiarazione d’intenti bella e buona), piglio hardcore e noise da fine del mondo, vengono qui condensate in neanche quaranta minuti di invettive soniche che non risparmiano nessuno, con particolare attenzione nei confronti di politica e religione, due delle tematiche che stanno più “a cuore” a Thom Edward e i suoi. Non filtra mai luce nelle undici tracce del disco, perché non ne è filtrata durante le registrazioni (avvenute, tra le altre location, anche nell’umido di Aldwych Station, fermata fantasma della metropolitana di Londra) né mai nell’ispirazione dei tre, ferreamente ancorata al marciume di certi garage di periferia.
La novità di God Damn, difficile da scovare nel marasma sonoro dell’album ma in realtà ben presente, è l’approccio industriale di più di un passaggio, da High Frequency Words ai due minuti netti di Bleeding A Rope, passando per la conclusiva Satellite Prongs, quasi nove minuti di debordante frastuono metallico con i rullanti che sembrano lì per implodere da un momento all’altro. Una piccola ma sensibile variazione sul tema che contribuisce a “estremizzare” ancora un po’ il sound del trio.
I God Damn sanno anche come essere catchy (perdonate l’accostamento di questo termine a una band come la loro, ma non viene in mente niente di meno “offensivo”), vedi l’incedere marziale di Whip Goes The Crack che sembra un pezzo scritto e interpretato da Muse e Marilyn Manson congiuntamente, ma quando c’è da picchiare forte non si tirano mai indietro (su tutte segnaliamo Palm Of Sand e Mirror Balls, due vere mitragliate) ed è questo che ce li fa apprezzare ancora una volta. Bentornati.
(2020, One Little Indian)
01 Dreamers
02 High Frequency Words
03 Hi Ho Zero
04 Whip Goes The Crack
05 We Are One
06 Palm Of Sand
07 Tiny Wings
08 Mirror Balls
09 Bleeding A Rope
10 Hinge-Unhinged
11 Satellite Prongs
IN BREVE: 3,5/5