Cari amici musicisti, non ci provate neanche a imitare i Godspeed You! Black Emperor, non ne caverete un ragno dal buco. Dieci anni di assenza, uno iato per nulla drammatizzato e pubblicizzato, e poi una ricomposizione fluida come olio caldo senza strombazzate o concerti evento. Sono così i GY!BE, inimitabili: fanno, disfano, si divertono a sbattersene del melmoso mondo della musica moderna, incastrata tra scaffali sovraffollati di centri commerciali e nella bulimia cibernetica degli store digitali. Il loro ritorno discografico, ‘Allelujah! Don’t Bend! Ascend!, affidato a due temi da venti minuti intramezzati da due raccordi, è un’avventura che rivitalizza il post rock azzittendo in un colpo solo tutti i detrattori del genere. Mai i Godpseed sono stati coi piedi per terra. Mai hanno raccontato la realtà. Mai, anche quando il loro nome s’è trasformato in Silver Mt. Zion, hanno creduto che la strada fosse il teatro su cui poggiare certe istanze. Perché c’è qualcosa più in alto verso cui tendere, oltre i palazzi e il cielo. C’è l’idea, l’atterrimento, il sogno e l’incubo. C’è la paura, il dissenso, la rabbia, la repulsione per la violenza. Prendi il “mediometraggio sonoro” Mladic. Il Colonnello Ratko Mladic, dopo anni di orrori nelle campagne zuppe della Jugoslavia, è stato condannato per crimini di guerra solo l’anno scorso, i GY!BE, entrano negli occhi di chi ha subito quei soprusi con un climax elettrico da fine del mondo e a cavallo di un tema chitarristico che si ripete in maniera martellante e ossessiva. Cieli gonfi di pioggia e violacei sono fatti a fette da una babilonia roboante ed eccitata dalla batteria marziale di Bruce Cawdron. Un’apocalisse, ora. The Elicopter’s Sing, legata a doppio nodo da un filo rosso riconoscibilissimo come il suono straziante della ghironda di Efrim Menuck, ci fa mandare giù il boccone con difficoltà. Strung Like Lights At Thee Printemps Erable è l’inferno quando smette di scoppiettare. We Drift Like Worried Fire, è l’altro tema di oltre venti minuti, l’ennesimo magnifico viaggio a bordo di una velocissima macchina del tempo. Ed è in questo secondo segmento che vengono fuori gli oltre quindici elementi (tra musicisti e tecnici) che stanno dietro ad “’Allelujah! Don’t Bend! Ascend!” (soprattutto nel miracolo artistico di Sophie Trudeau al violino). E’ questo il post rock che ci ricordavamo. Violento, emozionale, irrazionale. Ascesa e caduta del rock tutto in un compact disc. Un alleluia sputato e poi strozzato in gola.
(2012, Constellation)
01 Mladic
02 Their Helicopters’ Sing
03 We Drift Like Worried Fire
04 Strung Like Lights At Thee Printemps Erable
A cura di Riccardo Marra