L’aspettativa è una condizione con cui ogni musicista deve confrontarsi prima o poi nella propria carriera. Che si tratti di una piccola realtà underground piuttosto che di un colosso di caratura mondiale, è nel continuo gioco tra attesa e soddisfazione che si completa il mitico dualismo tra una band e il suo pubblico più fedele. Inoltre, tanto più la qualità passata è stata elevata, tanto più l’aspettativa in futuro sarà difficile da accontentare, qualunque sia poi l’effettiva riuscita di un lavoro discografico. Che dire dunque dei livelli di aspettativa di un disco dei Gojira, con alle spalle quella che è certamente una delle più incredibili carriere in ambito estremo in tempi recenti e un lavoro precedente (“Magma”, 2016) che ha dato un forte segno di svolta sonora a una band che giocava da tempo su territori più che agevoli? “Magma” fu un successo nonostante tutto e Fortitude ha ora il non facile compito di confermare lo stato di forma del quartetto che forse più unanimemente rappresenta il metal in generale negli ultimi vent’anni.
“Fortitude” arriva in uno dei momenti più bui dell’esistenza, per lo meno da quando la musica moderna esiste, e i Gojira esprimono tutte le preoccupazioni per il futuro con un lavoro incentrato sulla contrapposizione tra amore e odio e la scelta che dovrebbe essere cosciente oltre che ovvia. Se c’è un modo in cui questa ideologia consapevole abbia potuto trasformarsi in suono, questo è da ritrovarsi in diffuse ritmiche neanche troppo velatamente ancestrali e tribali, ben più che evidenti in quel gran pezzo che è Amazonia. Il disco parte con una opener in puro stile Gojira: diretta e di impatto ma con un refrain di ampio respiro. Su quale ormai sia il nuovo corso sonoro dei quattro di Bayonne se ne potrebbe discutere per ore, ma certamente Another World ne è fedele rappresentazione: un brano rotondo e fluido, dal carattere docile e smussato, in aperta contrapposizione con il più duro passato; una track in pieno stile “Magma” e, come per tutto quell’album, divisiva, ha fatto ampiamente discutere dal giorno della sua uscita (è un singolo del 2020).
L’eterogeneità di “Fortitude” è notevole. Ancor più che nei veri capolavori dei Gojira, la maturità di quella che è ora una banda di quarantenni si fa percepire in ogni aspetto del songwriting di questo LP. Hold On e Into The Storm sono anthem da stadio tanto quanto New Found si diverte a fare il verso ai Rammstein dei primi dischi, quelli davvero industriali e underground. The Chant, in contrapposizione, è una lunga cantilena che assieme al (quasi) post rock di The Trails vince a mani basse il titolo di brano più incerto dell’intero lavoro. Nulla si è mai anche solo avvicinato, lungo tutta la carriera dei francesi, alle fattezze di queste proposte. Sono brani che lasciano interdetti, sia per la difficoltà a contestualizzarli sia nel comprenderne il vero valore, per chi scrive non più che mediocre. Un altro paio di tracce più classicheggianti, quali Sphinx e la conclusiva Grind (ottime, tra l’altro) e il disco termina dopo oltre cinquanta minuti di pura consapevolezza metallica.
Una delle caratteristiche subito evidenti di questo lavoro è da ritrovarsi nel multiplo approccio che ogni traccia può necessitare per essere compresa appieno. Amazonia ne è un esempio lampante, facile bollarla come brano sempliciotto a un primo ascolto, dà il meglio di sé col tempo e dopo svariati e assidui ascolti. Probabilmente non è il disco che alcuni si aspettavano dai fratelli Duplantier ma senza dubbio un lavoro di qualità indiscutibile e che mostra, tra altri e bassi (pochi, per fortuna), l’evoluzione e maturazione di una band così importante che potrebbe da sola definire una generazione. Aspettative soddisfatte? Quasi del tutto.
(2021, Roadrunner)
01 Born For One Thing
02 Amazonia
03 Another World
04 Hold On
05 New Found
06 Fortitude
07 The Chant
08 Sphinx
09 Into The Storm
10 The Trails
11 Grind
IN BREVE: 3,5/5