Puntuale arriva un nuovo album di Jad Fair e dei suoi Half Japanese, band che adesso è composta in pianta stabile, oltre che dallo storico fondatore del gruppo, anche da John Sluggett, già chitarrista di Moe Tucker dei Velvet Underground, Gilles-Vincent Rieder, Jason Willett e Mick Hobbs. Puntuale perché negli ultimi anni, da quando ha dato questa nuova impostazione al progetto, Jad è molto regolare nelle sue pubblicazioni e anche se il suo nome non ricorre tra le principali proposte del settore da parte della stampa più accreditata, non ci sono dubbi che la verve dei suoi lavori sia sempre frizzante, forse meno scabrosa e astratta, meno indistintamente noise rispetto a capitoli celebri del passato, ma comunque ideologicamente art pop (del resto basta guardare le sue opere pittoriche, bellissime, come quella usata per la copertina di questo album) e con quella connotazione garage e lo-fi di cui egli stesso è stato mentore e poi negli anni divulgatore.
Presentato come prossimo a realtà pop psichedeliche del mondo alternative US degli anni Novanta, con cui ha per la verità poco in comune e di cui al massimo costituisce fonte di ispirazione (vedi Elephant Six), Jad Fair con Invincible riprende quell’immaginario horror fatto di colorazioni pop che ha da sempre contraddistinto il suo mondo ideale di riferimento. È un immaginario lontano, che per la platea dei giorni nostri potrebbe apparire come ingenuo, ma questo solo perché va contestualizzato a quel mondo che negli anni è stato fonte di ispirazione anche di autori oggi celebrati tra i massimi calibri del mondo letterario, a partire dal “Re” – cioè Stephen King – che ha proprio voluto omaggiarlo anni fa nella sua personale “danza macabra”.
Da qui questo disco popolato da vampiri e morti viventi, visioni “aleatorie” e più che pragmatiche costituite secondo rivisitazioni acido-psichedeliche, visioni in uno stato ultra-dimensionale dove alla fine non trionfa quell’amore ripreso dalla cultura pop delle musiche e delle lyrics di Robert Smith. “Invincible” non sorprende solo perché rispetta appieno le aspettative dell’ascoltatore, è un disco fresco, gioioso e mai banale, che trasuda quella ingenuità geniale tipica di Jad Fair (oppure del suo omologo Robert Johnston), elettricità, vibrazioni lisergiche e inflessioni noise, tastiere acide e rimandi qua e là a sound surf e “sentimenti westernati”, con un uso divertente di slide guitar e vibrato.
Molto interessanti, a parte il piglio da loser caratteristico della cultura garage, sono i rimandi al sound dei 13th Floor Elevators in pezzi come Return Of The Vampire, l’elasticità di No More oppure It’s Here, ma in fondo nonostante le differenze sul piano anagrafico e la provenienza da due parti diversi del panorama US, sia Jad Fair che Roky Erickson guardano o hanno guardato, da differenti prospettive forse, ma comunque con un’occhiata e con un piglio prossimo alla schizofrenia, allo stesso mondo. Lo stesso che una volta Syd Barrett aveva dipinto a strisce bianche e nere su di un pavimento.
Jad Fair dipinge anch’egli, ma i suoi dipinti sono piuttosto dei mostri, quegli stessi zombie di Mora-Tau che facevano impazzire di piacere il mitico Lester Bangs, che qui forse non vi ritroverebbe quella stessa genialità ma non resterebbe in ogni caso indifferente davanti a un disco che, in confronto al nulla di molte produzioni pop rock psichedeliche, riempie la testa di quelle immagini in bianco e nero che chi ha qualche anno sulle spalle ricorda mentre scorrevano sugli schermi delle televisioni.
(2019, Fire)
01 Swept Away
02 Love Explosion
03 The Puppet People
04 Return Of The Vampire
05 Or Ever Will
06 No More
07 All At Once
08 The Walking Dead
09 Forever In My Heart
10 What Are You Gonna Do?
11 It’s Here
12 Invincible
13 No Wonder
14 It Has Me
15 Indestructible
IN BREVE: 3/5