Chiunque abbia visto dal vivo gli Hookworms, quintetto originario di Leeds, conserverà un ricordo di grande energia, divertimento, movimento. Capitanato dallo scatenato Matthew Johnson, il gruppo fa il diavolo a quattro sul palco e si è sempre comportato egregiamente, manco a dirlo, su disco.
Approdati adesso al terzo mattone in carriera, Microshift, i ragazzi cominciamo più che seriamente a costruire non solo una bella casa, ma un personalissimo palazzone multipiano. Qui le stanze sono meno psych rock che in passato, certamente meno elettriche ma non per forza meno elettrizzanti. C’è tanta di quella sapienza e precisione nella formazione inglese da rendere impossibile l’inappetenza sonora. A battere il campanello d’inizio si trova Negative Space: intro à la Kraftwerk e outro à la Primal Scream. Roba da OK, attenzione prego.
Static Resistance è un loro classico brano, forse il più classico della raccolta: ritmo, energia, strepiti. Con la successiva Ullswater (ma ancor più con The Soft Season e con l’inedita Each Time We Pass) si ha un’idea della nuova direzione della band: un approdo parziale agli eighties non sempre, probabilmente, al massimo dello splendore. Sono infatti le cavalcate in delay a essere comunque i momenti più gustosi, incluso il portentoso kraut-space-punk di Boxing Day. Ciò non toglie, beninteso, quasi nulla alla struttura solidissima dell’opera.
Gli Hookworms, direbbe qualcuno, non sanno soltanto il fatto loro: sanno anche quello altrui, hanno studiato, si stanno evolvendo. Non è sicuro che “Microshift” apra un corso differente, ma ovviamente ne getta in qualche modo le basi o tenta, quantomeno, una deviazione su un tracciato già battuto. Una storia comune a ogni gruppo, dalla quale si otterranno più risposte nella prossima puntata.
(2018, Domino)
01 Negative Space
02 Static Resistance
03 Ullswater
04 The Soft Season
05 Opener
06 Each Time We Pass
07 Boxing Day
08 Reunion
09 Shortcomings
IN BREVE: 3,5/5