Ve lo spieghiamo noi che s’è messo in testa Trent Reznor: vuole farci crepare tutti d’invidia ogni volta che muove un passo, è chiaro. Perchè ha diretto una band stratosferica come i Nine Inch Nails. Perchè ha vinto pure l’Oscar, manco fosse un Grammy qualsiasi. Perchè ha una moglie stupenda. Perchè questa moglie stupenda l’ha messa alla voce di un’altra band fighissima fresca di formazione, gli How To Destroy Angels. Perchè in quest’altra band c’è anche l’amico Atticus Ross, programmatore, compositore, guru dell’elettronica e compagno di merende a base di statuette. E perchè mentre giunge notizia che, forse, la band stratosferica di cui sopra tornerà a farsi sentire, eccolo che ti piazza anche questo An Omen, secondo ep della seconda band fighissima firmata Reznor. Insomma, a quest’uomo riesce qualsiasi cosa, è il fottutissimo Re Mida del rock degli ultimi vent’anni (e non parleremo della collaborazione con Josh Homme e i Queens Of The Stone Age che, a quanto pare, sta prendendo forma). Gli HTDA in realtà s’erano già fatti vivi nel 2010 con un primo omonimo ep che, però, non aveva avuto un seguito discografico sulla lunga distanza. Cosa diversa rispetto a questo “An Omen” che anticipa quello che sarà il primo vero e proprio lavoro della band, previsto per l’inizio del prossimo anno. In compagnia di Reznor, Ross e Mariqueen Maandig c’è anche Rob Sheridan nelle vesti di art director (ruolo già ricoperto coi NIN in tutto il nuovo millennio), posizione non da poco quando ci sono di mezzo le idee e le intuizioni di Reznor. Il risultato è un lavoro che percorre perfettamente quelle linee che ci si aspetta percorra: post-industrial è la definizione che, pur lasciando il tempo che trova, va per la maggiore riguardo gli HTDA. Ed effettivamente il senso di straniamento dei NIN e delle soundtrack di “The Social Network” e “The Girl With The Dragon Tattoo” (le due creature a firma Reznor/Ross) c’è tutto, marchio di fabbrica metropolitano del Reznor-pensiero. Ma di violenza chitarristica non ce n’è nemmeno l’ombra, le parti strumentali sono moltissime e come sempre ipnotiche (vedi The Sleep Of Reason Produces Monsters e The Loop Closes, quest’ultima decisamente “thefragileiana”), l’elettronica aggressiva lascia spazio a lunghe divagazioni trip-hop e tribali (rispettivamente On The Wing e Speaking In Tongues) e anche la sperimentazione fuori dai canoni industriali trova il suo spazio (Ice Age). In tutto ciò, l’elemento forse più interessante è rappresentato dall’inseguirsi delle voci di Reznor e della moglie nel finale della traccia d’apertura nonché singolo Keep It Together: l’effetto è assolutamente esplosivo, l’augurio è che nell’album di prossima uscita possano esserci tanti di questi episodi. Reznor ha fatto centro, di nuovo…
(2012, Columbia)
01 Keep It Together
02 Ice Age
03 On The Wing
04 The Sleep Of Reason Produces Monsters
05 The Loop Closes
06 Speaking In Tongues
A cura di Emanuele Brunetto