Succede che due musicisti romani, dal background internazionale, si trovino a jammare in sessioni infinite, utilizzando un linguaggio musicale nuovo, contaminato, transculturale, insomma la perfetta sintesi delle loro ultime esperienze lavorative (Bombino, Rokia Traoré). Succede, inoltre, che i suddetti riescano a riassumere questi viaggi musicali in nove brani e che chiedano ad altri due musicisti di prestare la voce ad alcuni di questi pezzi e produrre l’intero lavoro.
Il risultato è questo progetto/disco, chiamato I Hate My Village, i cui artefici sono: Adriano Viterbini alle chitarre (Bud Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini alla batteria e alle percussioni (Calibro 35, Afterhours), Alberto Ferrari alla voce (Verdena) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle) alla produzione. Un’indagine musicale dal connotato multiculturale che non si pone meramente il compito di riprodurre un certo tipo di musica della tradizione sub-sahariana e tuareg, ma ha l’ardire di tradurre la lezione musicale africana con il proprio modo di concepire e fare musica.
Da questo voler fagocitare, divorare culture diverse per poterle assimilare e fare proprie, proviene il nome del progetto: “I Ate My Village”, titolo di un cannibal movie ghanese con cui Viterbini e Rondanini giocano foneticamente trasformandolo in “I Hate My Village”. Allo stesso tempo, però, è anche un’allusione alla propria scena musicale, per l’appunto il villaggio, la cui autoreferenzialità rischia di farla annichilire su se stessa.
Queste nove pillole desert blues dalle ritmiche afrobeat presentano una veste convincente, che unisce la naturalezza dell’improvvisazione con il preciso ordine realizzato da un certo tipo di ritualità sonora. Tony Hawk Of Ghana e Acquaragia, singoli che hanno anticipato l’uscita del disco, sono un chiaro esempio di questo tipo di scrittura dove la ripetitività rituale del riff di chitarra si amalgama perfettamente alla naturalezza del cantato di Ferrari, che incide positivamente con la verve della sua riconoscibile timbrica vocale.
Presentiment, Tramp e Fame, invece, mostrano con evidenza le loro radici tuareg, prese in prestito da Bombino e Tinariwen e le mescolano a un rock/blues – che ricorda gli ultimi lavori dei BSBE di Viterbini – intervallato qua e là da distorsioni e ritmiche groovose. Bahum è l’unico episodio dove la ritualità ritmica lascia il passo e la scena all’improvvisazione dei riff della chitarra di Viterbini, che si intersecano fino ad aumentare di intensità nel finale.
Sebbene la durata dell’intero lavoro – che si attesta sui ventiquattro minuti – possa far pensare a un qualcosa di raffazzonato e parziale, “I Hate My Village” è un progetto/disco dalla cifra sonora distinguibile, compatto e con quel pizzico di psichedelia, dovuta alla produzione di Fasolo, che ben si addice al contesto. I ragazzi hanno le idee chiare, il villaggio è avvisato!
(2018, La Tempesta)
01 Tony Hawk Of Ghana
02 Presentiment
03 Acquaragia
04 Location 8
05 Tramp
06 Fare un fuoco
07 Fame
08 Bahum
09 I Ate My Village
IN BREVE: 3,5/5