In tempi bui come quelli che stiamo vivendo, e non soltanto per i persistenti proclami su crisi economiche e presunte letali pandemie influenzali, ma più specificamente per una decadenza morale e di coscienza talmente profonda che chiunque abbia un minimo di raziocinio riesce a percepire con estrema facilità, in tempi oscuri come questo sapere che ci sono ancora musicisti che, come noi, non ne possono più di tutto ciò, ci fa sentire meno soli. Se in “Dell’Impero Delle Tenebre” la belva che si nutre in ognuno di noi delle pulsioni più animalesche dell’anima usciva fuori a rigurgitare le viscere sul pavimento, con A Sangue Freddo Il Teatro Degli Orrori si guarda intorno, apre le finestre della cella d’isolamento in cui prima stava recluso e sputa sull’egoismo dei potenti e la cecità delle masse, addizione mortale che irrora senza limite i letti di aberranti fiumi di sterco e sangue. Non una novità, sia ben chiaro, ma se da circa vent’anni a questa parte la figura sociale della rockstar che arringava le masse, sensibilizzandole ai grandi temi sociali, è andata quasi estinguendosi, artisti come Il Teatro Degli Orrori, nell’Italietta nostra contemporanea, servono e come. Da un punto di vista strettamente musicale “A Sangue Freddo” evidenzia una certa perdita di impeto. La scrittura è più calibrata e la malinconia prende non di rado il sopravvento, così come si evince già nell’opener Io Ti Aspetto, un battesimo di disco del tutto inatteso, o nella conclusiva Die Zeit, dove i sentimenti degrada(n)ti tra uomo e donna continuano ad essere il fulcro tematico, punto di contatto con “Dell’Impero Delle Tenebre”. La chitarra riverberata e postrockeggiante di E’ Colpa Mia potrebbe piacere molto ai Dredg, ma è un po’ un giro a vuoto la collaborazione con Bob Rifo dei Bloody Beetroots che da vita a Direzioni Diverse, canzone un po’ fuori contesto che, a parere di chi scrive, è il punto più debole del disco. C’è meno melma nelle chitarre, meno ferraglia nel basso, c’è una minore voglia di rifilare stilettate di una certa violenza come, invece, avveniva nell’eccelso debutto. Ma ciò che colpisce e piace di “A Sangue Freddo” è un impianto lirico dalla consistente causticità, interpretato alla perfezione da un Pierpaolo Capovilla sempre più burattinaio della compagnia. Il rock colto ma non saccente de Il Teatro Degli Orrori ci ripropone qui, come accadeva in “E Lei Venne” nel primo album (dove fu riadattata “Il Vino dell’Assassino”, oscura ed immaginifica poesia di Charles Baudelaire), alcune composizioni letterarie: la toccante e struggente poesia “La Vera Prigione” dello scomparso (giustiziato) attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa è la materia prima della title-track; la re-interpretazione dell’interpretazione (ci si perdoni la ridondanza) di Carmelo Bene de “All’Amato Me Stesso” di Vladimir Majakovskij (che assieme a “Il Flauto di Vertebre” è forse il componimento più bello dell’immortale poeta russo, n.d.r.) è Majakowskij; i primi versi del Padre Nostro, declinati però alla prima persona singolare, sono l’incipit di Padre Nostro. Ma il tutto non si risolve in un mero citazionismo tipico di chi vuol darsi un certo tono. Anche perché si cita pure l’Adriano Celentano dei “Il Ragazzo della Via Gluck” proprio all’inizio del monologo da ufficiale di polizia di Alt!. C’è un motivo ben preciso per cui tutto ciò avviene, esiste un trait-d’union vivido. La denuncia incondizionata dei soprusi dei potenti (Il Terzo Mondo, “A Sangue Freddo”, “Padre Nostro”), il disfacimento dell’etica italiana e la lotta politica, con tutta la propaganda becera che ruota intorno all’ordine e sicurezza dalla parte del cittadino (“Alt!”). Il Teatro Degli Orrori fa sentire la sua voce in questa grandguignolesca pantomima quotidiana di cui siamo tutti protagonisti, che il più delle volte viene lasciata fluire indisturbata dalle grandi figure mediatiche che, con una forma d’Arte tanto efficace come la Musica, potrebbero schiaffare in faccia ai più distratti lo stato dei fatti. Ed invece dobbiamo sorbirci sempre più rockstar da stadio che si trascinano come fossili verso la fine (e magari azzardandosi a deturpare canzoni altrui) o facce nuove senza carisma, senza qualcosa di buono da dire. Al di là dei meriti o demeriti musicali che si possono riscontrare nella loro musica (questo è un disco con pochi alti – Mai Dire Mai non l’abbiamo ancora citata – e un bel po’ di medi), Il Teatro Degli Orrori sono musicisti dall’anima sensibile, teste pensanti che hanno il coraggio giusto. Una più vasta esposizione farebbe solo del bene alla musica italiana. Per questo li riteniamo attualmente indispensabili.
(2009, La Tempesta)
01 Io Ti Aspetto
02 Due
03 A Sangue Freddo
04 Mai Dire Mai
05 Direzioni Diverse
06 Il Terzo Mondo
07 Padre Nostro
08 Majakowskij
09 Alt!
10 E’ Colpa Mia
11 La Vita E’ Breve
12 Die Zeit
A cura di Marco Giarratana