Approdano su Century Media, agli Intronaut spetta adesso il compito di dimostrare che le buone cose messe nero su bianco nel precedente “Void” non erano un semplice fuoco di paglia. In primis il quartetto di Los Angeles è riuscito a definire ancor di più lo stile, risultando adesso più personale ed emancipato dall’ascendente Mastodon, in passato molto presente. Prehistoricism dimostra così una crescita in fase compositiva, amalgamando per bene accenti progressive alla matrice post-hardcore e sludge-core degli esordi, facendo distendere su questo territorio gli otto episodi di questo nuovo capitolo, secondo su lunga distanza dopo “Void” di due anni addietro. Si constata così un inizio che mantiene una certa coerenza col passato con The Literal Black Cloud e Cavernous Den Of Shame che fungono da ottimi ponti, episodi che rimarcano palesemente quel metallo grumoso e pachidermico che trova successivamente nella title-track il momento migliore della prima sezione, tra l’incipit reso ondulato dal giro di basso sbilenco e delle aperture che sono come squarci dai quali sgorgano lapilli di lava. Dal quinto solco in poi le cose iniziano un tantino a mutare con l’ingresso di nuovi elementi per lo stile della band, soprattutto nelle strutture. La coda di Any Port (che ha una leggera modulazione melodica in ciò che si lascerebbe intendere il refrain che lenisce la compattezza del flusso) ci proietta nella primordiale condizione preistorica, con quei tamburi percossi con fare ritualistico che richiamano l’ingresso del brano. Da qui in poi si acuiscono gli accenti jazzati nelle trame di basso, spesso elevato al rango di protagonista in alcune evoluzioni. Anche alcuni raccordi evidenziano una prominente crescita in termini morfosintattici, dando adito al sospetto che i nostri abbiano per bene appreso alcuni paradigmi tipici del progressive-metal (e l’etimo sta nei dintorni di Fates Warning e certi aspetti dei recenti Opeth). Se Sundial carbura dopo diversi ascolti, causa una macchinosità che a primo acchito ne offusca il valore, edAustralopithecus secerne scorie metalliche di alto livello, è con la finale The Reptilian Brain che gli Intronaut danno dimostrazione di cosa sono capaci e lasciano intravedere interessanti possibili sviluppi futuri: prologo che viaggia tra i sufi descritti dai Gordian Knot che affluisce subito dopo su sviluppi progressive, con divagazioni meshuggahiane e psichedeliche. Giunti al termine si rimane soddisfatti e coscienti del fatto che gli Intronaut siano una delle nuove espressioni del nuovo metal intelligente, che fa tesoro delle ultime derive in ambito post-hardcore, senza però ammorbidirle (come è oramai consuetudine di molti loro colleghi) con partiture d’estrazione post-rock. Che non sia questo il passo che precede il definitivo salto di qualità?
(2008, Century Media)
01 Primordial Soup
02 The Literal Black Cloud
03 Cavernous Den Of Shame
04 Prehistoricisms
05 Any Port
06 Sundial
07 Australopithecus
08 The Reptilian Brain
A cura di Marco Giarratana