“In The Absence Of Truth” ha rappresentato per il cammino evolutivo degli Isis un’importante tappa di passaggio. Un nemmeno tanto celato manifesto d’intenti, in cui la necessità di sondare nuove vie e di ampliare ulteriormente la tavolozza cromatica si mostrava in ogni singolo solco. I risultati, in linea di massima, erano soddisfacenti, anche se non pochi dettagli bisognavano un successivo trattamento. Chi si aspettava ora un ritorno alle sulfuree atmosfere e al pesante doom-core dei primi dischi si era sicuramente perso la puntata precedente. Perché qui gli Isis, determinati nel continuare ad allontanarsi dal post-hardcore, si stanno dirigendo verso quell’alternative-metal che è punto di incontro tra l’asse del progressive e quello della psichedelia, adoperando le giuste calibrature e perfezionando gli elementi principali di “ITAOT”. Wavering Radiant si pone così come un punto di svolta significativo ed una seconda maturità (la prima la ebbero con lo strepitoso “Panopticon” del 2004), per la scelta dei suoni, per la complessità di arrangiamenti stratificati con certosina cura dei dettagli, per la crescita a livello strutturale e soprattutto ritmico. Certo, se di mezzo ci fosse un cantante ben più dotato e talentuoso di Aaron Turner gli Isis sarebbero una band letteralmente spaventosa: il mastermind dimostra una crescita nella padronanza delle timbriche pulite rispetto alle cantilene paranoiche del precedente full-length, ma il discorso verte sul talento, sulla fantasia e sull’essere in buona sostanza adatti per certe cose. Ma non si può disporre di tutto. L’inizio di Hall Of The Dead mette subito ko: il riffing affilato e terzinato – a cui si deve e non poco la mano magica di Adam Jones dei Tool, ospite di lusso dell’album – irradia tutt’intorno tensione (ma fa eco al passato, “The Tower” è dietro l’angolo), e si pone come contraltare al finale, in cui si è investiti da una maestosa esplosione. Scendendo nel dettaglio, la sintassi dei brani è per lo più focalizzata su costruzioni paratattiche, in cui vengono accostati in serie riff diversi tra loro, ben collegati da raccordi ipotattici quando necessario. Si nota anche ad un primo ascolto la bellezza delle armonie e delle progressioni melodiche, come subito svela Ghost Key, che apre con una liquida discesa marina, per poi dar spazio ai sempre presenti (ma in quantità minore) growling di Turner. Oramai scindere cosa sia post-rock e cosa psichedelia nel corpus eterogeneo ma inscindibile come una lega del combo è cosa davvero difficile: la più grande onorificenza che può essere attribuita agli Isis è proprio questa. Si passa per le sospensioni gravitazionali della title-track (vero e proprio intermezzo, nulla più) per giungere ai grigiori sulfurei di 20 Minutes / 40 Years e alla solennità di Stone To Wake A Serpent. Ma è nelle due composizioni più lunghe che gli Isis tirano fuori il meglio di loro stessi e rendono questo “Wavering Radiant” uno degli eventi discografici dell’anno. Hand Of The Hostsono dieci minuti densi di tensione e rilascio, rielaborazione magistrale delle esplosioni di “Panopticon” filtrate secondo la lente assottigliata di “ITAOT”, con crescendo avvincenti, quasi epici tanto vibranti e dotati di pathos. La multiformità dei giri armonici risulta coesa in maniera formidabile, senza accusare cali per tutta l’intera durata. Threshold Of Transformation apre quasi come il capolavoro “So Did We”, ma ne rivisita i parametri, risultando l’esempio perfetto della paratassi menzionata qualche riga più su. Tassello dopo tassello viene fuori un brano intricato che mostra muscoli e cervello, tendendo la mano al metal e nel contempo al progressive, con le keyboards di Bryant Meyer perennemente in agguato (va detto che il suo contributo in questo disco è di fondamentale importanza), per poi dar vita ad una coda in dissolvenza in cui non è affatto criminale intravedere una parentela con gli Earth più diluiti ed astrali. La grandezza degli Isis sta non solo nella qualità altissima della loro musica, ma nei loro intenti ideologici. Creato uno stuolo di followers, il bisogno di non venire risucchiati nella voragine dell’immobilità in cui la scena post-core sembra essere piombata da un paio d’anni a questa parte, ha condotto i leaders a tirarsi fuori dai giochi, ma con una maestria da lasciar secchi tutti. Per riferirci ai cinque di Boston è difficile adesso usare etichette che ne delineino con precisione scientifica la materia musicale da loro maneggiata. Ci basti sapere che questo è il nuovo suono-Isis e più complimento di questo, in un mondo di cloni superflui, non potrebbe essere loro riservato.
(2009, Ipecac)
01 Hall Of The Dead
02 Ghost Key
03 Hand Of The Host
04 Wavering Radiant
05 Stone To Wake A Serpent
06 20 Minutes / 40 Years
07 Threshold Of Transformation
A cura di Marco Giarratana