Non sono tanti (in realtà pochissimi) coloro i quali possono vantare un impatto sulla musica dei nostri giorni pari a quello avuto da James Blake con appena due album. Forte di uno stile riconoscibilissimo dato da una mistione fra elettronica e soul, che ha partorito una sorta di genere a sé stante, l’inglese ha fatto proseliti (non si contano più gli epigoni) e attirato l’attenzione anche di colleghi che con lui hanno apparentemente poco da spartire (ultima in ordine di tempo la sua ospitata in “Lemonade” di Beyoncé).
Cosa gli si poteva chiedere di più? Poco, davvero poco, se non il mantenimento degli altissimi standard compositivi già raggiunti. The Colour In Anything, pubblicato con solo qualche ora di preavviso e con un titolo diverso da quanto precedentemente annunciato (doveva essere “Radio Silence”, come la traccia d’apertura), prosegue sulla scia dell’omonimo esordio (2011) e di “Overgrown” (2013), magari giusto un po’ più primaverile rispetto all’inverno incombente dei predecessori. Ascoltando i beat di Points, quella ballata piena zeppa di suggestioni digitali che è Love Me In Whatever Way, la bellezza piano/voce di f.o.r.e.v.e.r. (rarissima occasione in cui Blake decide di non effettare la voce) o la superba accoppiata centrale Waves Know Shores/My Willing Heart (in cui viene fuori quel gospel bianco marchio di fabbrica dell’inglese), si ha la percezione chiara e precisa di ciò che Blake è stato ed è.
Manca la tanto sbandierata collaborazione con Kanye West (chissà se i due arriveranno mai a concretizzare davvero qualcosa), ma c’è quella non meno significativa con Justin Vernon aka Bon Iver: I Need A Forest Fire è una traccia che attesta Blake e Vernon come facce della stessa medaglia, due modi diversi ma complementari di affrontare la malinconia e rivisitare in chiave moderna il songwriting più classico.
I problemi – e quasi ci si vergogna a definirli tali – arrivano da altre parti: in primis la lunghezza del disco, diciassette brani per settantasei minuti che inevitabilmente si fanno in più di un punto riempitivo: Put That Away And Talk To Me, Choose Me o Noise Above Our Heads, ad esempio, pur senza mai scadere appesantiscono e non poco la tracklist, povere come sono di quei guizzi che altrove lacerano il cuore. E poi una certa monocromaticità: detta così potrebbe apparire un po’ un ossimoro rispetto al titolo stesso dell’album, ma nella pratica, a parte il cenno synthpop eighties di I Hope My Life (1-800 Mix) (peraltro neanche troppo convincente) e Radio Silence (vero apice del lavoro, stranamente piazzata all’inizio), mancano quegli spunti che spezzano a metà l’ascolto e il fiato.
Il tutto, così, risulta come ricoperto da una patina grigia che rende difficoltoso il respiro e smorza sul nascere il dichiarato intento di Blake di dare un po’ di colore alla propria proposta sonora. “The Colour In Anything”, confermando per larga parte il suo autore come uno dei compositori più seminali del nuovo millennio, evidenzia però anche delle piccole ma sensibili crepe che nei primi due lavori si faticava a individuare e che qui, invece, sgorgano dall’inarrestabile flusso creativo di Blake.
(2016, Polydor)
01 Radio Silence
02 Points
03 Love Me In Whatever Way
04 Timeless
05 f.o.r.e.v.e.r.
06 Put That Away And Talk To Me
07 I Hope My Life (1-800 Mix)
08 Waves Know Shores
09 Choose Me
10 I Need A Forest Fire (feat. Justin Vernon)
11 Noise Above Our Heads
12 The Colour In Anything
13 My Willing Heart
14 Two Men Down
15 Modern Soul
16 Always
17 Meet You In The Maze
IN BREVE: 3,5/5