Sono sempre stati ascoltati poco nonostante un curriculum di tutto valore, poco assorbiti dalle masse e men che meno da una certa critica internazionale. Ma loro, gli inglesi James da Manchester, non si sono ma dati per vinti e proprio in quest’inizio 2016 sfornano l’album numero quattordici, Girl At The End Of The World, ultimo di una lunga trafila di suoni e sfumature britpop che poco risentono del tempo logorante, anzi sono un piacere intramontabile e immediato.
I sette James, capitanati da Tim Booth, riescono sempre a essere interessanti, il loro sound è ogni volta come una dichiarazione d’amore: misto, cangiante, radiofonico, spesso velato da quel filino di malinconia positiva che smuove emozioni e sogni e che ricorda appieno quegli anni Novanta colonna sonora di ispirazioni e strati estetici multiformi.
Cantano e suonano del mondo, dei loro rapporti sociali e personali e infarciscono i loro testi di storie vere, reali, e tutto quello che esce fuori dall’ascolto è una poesia elettrica, garbata e sfumata, come in To My Surprise, Attention, Dear John o Feet Of Clay (molto bowieana), ma anche le vibrazioni tese di Surfer’s Song e Move Down South e un pizzico di civetteria beatnik in Waking, che traghetta il disco a fine corsa. Da ascoltare con l’animo aperto, senza alcuna protezione.
(2016, BMG)
01 Bitch
02 To My Surprise
03 Nothing But Love
04 Attention
05 Dear John
06 Feet Of Clay
07 Surfer’s Song
08 Catapult
09 Move Down South
10 Alvin
11 Waking
12 Girl At The End Of The World
IN BREVE: 3/5