Inevitabile che l’apparizione di James Blake sulle scene si tramutasse nel big bang capace di generare una costellazione di epigoni più o meno all’altezza. L’irlandese James Vincent McMorrow s’era messo in evidenza nel 2010 con “Early In The Morning”, lavoro che doveva a Bon Iver, The Tallest Man On Earth e Fleet Foxes ben più di un debito. Roba per barbette più che incolte, chitarre acustiche e banjo e camicia di flanella (però sempre ben pulita), hipster, ma non eccessivo.
Se già all’esordio il buon James suonava derivativo e poco interessante (da quell’album tirava fuori solo la buona “This Old Dark Machine”, il resto chi se lo ricorda?), ci s’immagini ora che segue la corrente trendy di Alt-J, Chet Faker e, appunto, James Blake, quanto di suo abbia da dire.
L’aggravante è che questa improvvisa virata verso l’electro-soul non si traduce in una collezione di canzoni memorabili. Ammetto di aver ascoltato Post Tropical più di sette volte consecutive prima di scrivere queste righe e, in tutta onestà, non ricordo neanche una melodia. Pessimo segno.
Bassi in evidenza e beat minimali sono la stoffa principale di queste dieci tracce in cui c’è poco da sottolineare. Forse la trionfante Gold, forse l’iniziale Cavalier (che pare stia sempre per spiccare il volo, invece sta inchiodata al pavimento), forse Repeating, innegabilmente il pezzo migliore del lotto.
Ma la cosa peggiore di tutte è che McMorrow non cambia mai registro vocale. Si può andare avanti per tutta la tracklist ascoltando uno che si lagna in falsetto senza soluzione di continuità, senza alternare mai un altro registro? Il falsetto di per sé andrebbe abolito per legge, chi ne abusa è da denuncia alla Buon Costume. Ogni canzone ha un taglio intimista che, alla lunga, sprofonda nel patetico. E’ tutto così wannabe-beautiful e mellifluo che già al secondo giro nello stereo capisci quanto sia studiato a tavolino per far inumidire qualche signorinella ai concerti.
Me ne dolgo, ma essendo la voce l’anima di un brano (in assenza di ricami strumentali che lo caratterizzino), quando è piantata sullo stesso barbatrucco per l’intero tragitto di un disco si finisce a fare roba con lo stampino e senza identità. Se poi si somma l’assoluta assenza di almeno una canzone che induca al replay, beh, cosa resta di cui parlare? Sono deficienze incolmabili per “Post Tropical”, lavoro pretenzioso, nonché lezioso e monocorde. Praticamente dimenticabile.
(2014, Vagrant)
01 Cavalier
02 The Lakes
03 Red Dust
04 Gold
05 All Points
06 Look Out
07 Repeating
08 Post Tropical
09 Glacier
10 Outside, Digging
IN BREVE: 2/5