La vita è strana, a volte, soprattutto nelle piccole cose. Ad esempio, stamattina, prima di cimentarmi in un conclusivo ascolto di Automaton al fine di scriverne su queste pagine, ho attaccato, come quasi ogni mattina, Radio Capital (in uno streaming da immigrato, ça va sans dire). Neanche un secondo e una “Cosmic Girl”, leggiadra, luminosa e straordinariamente groovy m’illumina lo sguardo, mentre il mio culo ondeggia seguendo Stuart Zender: difficile definirne con un termine lo stile, difficile categorizzare le diverse, ricche sonorità che Jason Kay era riuscito a racchiudere in quella e in altre straordinarie gemme. Jason Kay il playboy, l’appassionato dell’alta velocità, l’eccellente cantante e band leader che si incazzava quando lo paragonavano ad uno dei suoi idoli, perché lui non imitava nessuno e Stevie Wonder è unico, ma è unico anche Jason Kay.
Questa coincidenza (banale quanto volete: pezzi dei Jamiroquai dei tempi d’oro ne passano alla radio senza che sia un evento, anzi) mi riporta alla mente il momento in cui apparve su Spotify il primo singolo, omonimo, estratto da questo disco e ai tre brevi secondi nei quali il mio entusiasmo si spense sentendo sintetizzatori analogici vagamente dissonanti sfociare in un ritornello molto banale.
Jason, per sua ammissione, per questo ritorno voleva ancora quel suono che è ormai marchio di fabbrica dei “nuovi” Jamiroquai, quelli del secondo corso “disco” (quelli, famo a capisse, non più innovativi ma ancora di successo), ma è cosciente di aver ricevuto numerose critiche per un suono troppo volutamente retrò – problema al quale ha voluto ovviare con dei sintetizzatori anni ‘70/’80. Ha senso, nel mondo perverso dell’hipsterismo moderno, perché questo è il suono che “tira” e, d’altra parte, questo mix di synth e strumenti suonati dal vivo da fior di musicisti richiama non involontariamente il metodo Daft Punk.
Ma, tristemente, dei francesi manca l’ispirazione, il chiaro intento musicale, la voglia e la passione: Kay si dichiara sopraffatto dal mondo musicale moderno, dalla costante necessità di combattere l’effimero, che è poi il motivo per il quale i Jamiroquai sono stati in pausa per sette lunghi anni.
C’è di buono in quest’album (Summer Girl, una delle poche “non elettroniche”, è un buon esempio) e non c’è niente di veramente brutto, ma è difficile giudicare positivamente un album più o meno disco che ha un’attenzione così scarsa rispetto al dancefloor e che non ha ritornelli potenti abbastanza da restare in testa. La speranza è che a Jason Kay torni l’ispirazione, e, più che altro, la voglia, quella vera, di fare qualcosa di nuovo, di originale. Fintanto che proverà a seguire la scia di qualcun altro, che siano i Daft Punk o Cerrone poco importa, i risultati non saranno mai da raccontare ai propri figli (o adatti a fare da colonna sonora mentre si sfreccia in autostrada).
(2017, Virgin EMI)
01 Shake It On
02 Automaton
03 Cloud 9
04 Superfresh
05 Hot Property
06 Something About You
07 Summer Girl
08 Nights Out In The Jungle
09 Dr Buzz
10 We Can Do It
11 Vitamin
12 Carla
IN BREVE: 2,5/5