È davvero un peccato che la discografia solista di Jerry Cantrell sia in fondo così striminzita, con all’attivo appena tre lavori dagli anni ’90 a oggi. È un peccato perché Cantrell, così come Chris Cornell o Mark Lanegan (al momento un po’ meno Eddie Vedder, ma siamo in attesa del suo nuovo album), ha saputo dimostrare come fosse possibile tirarsi fuori dal pantano artistico di una band mastodontica, mettendo a frutto esperienza e mestiere per ritagliarsi un proprio convincente spazio anche in solitario. “Boggy Depot” (1998) era stato il primo passo, mentre “Degradation Trip” (2002), pubblicato ormai un’era geologica fa, aveva accompagnato Cantrell nella transizione finale dei suoi Alice In Chains nel tragico post Layne Staley. Un disco meraviglioso, quello, perfetto compendio di quanto Cantrell aveva ed ha ancora nelle proprie corde.
Adesso Brighten lo rimette in pista dopo quasi vent’anni, un lungo iato durante il quale Cantrell ha pubblicato ben tre album con i “nuovi” Alice In Chains ma niente di niente a proprio nome. E fondamentalmente è questo un lavoro che aggiunge poco o nulla alla parabola di uno dei musicisti più influenti della sua generazione, un musicista che vanta uno stile chitarristico e compositivo così peculiare da renderlo riconoscibile all’istante, cosa che accade già con Atone, primo singolo estratto e traccia d’apertura dell’album, impregnata di sapori southern e sotterrata nella sabbia di quei deserti che da sempre appartengono all’immaginario strumentale dipinto da un Cantrell che, per l’occasione del suo ritorno solista, ha messo insieme una marea di amici e collaboratori (Tyler Bates e Paul Fig alla co-produzione, poi Duff McKagan, Greg Puciato, Gil Sharone, Abe Laboriel Jr. e svariati altri che hanno prestato i loro servigi).
Il principale aspetto che salta all’orecchio ascoltando “Brighten” è la sua monoliticità: in nove tracce (tra cui una cover, Goodbye, posta in chiusura e a quanto pare avallata dallo stesso Elton John che aveva composto l’originale) Cantrell condensa tutte le caratteristiche che nel corso tempo hanno fatto comprendere come spettasse a lui il ruolo di motore primo degli Alice In Chains: riff granitici che rimandano indietro direttamente all’epopea grunge (su tutti quelli che percorrono Had To Know), acustica in quota unplugged che alleggerisce le rasoiate sferrate altrove (vedi Siren Song, che pare davvero uscita da una di quelle epocali session per MTV), cenni di luminoso americana (è il caso di Prism Of Doubt, a essere onesti non uno dei passaggi più riusciti del disco), rock spesso e corposo (ci pensano qui la title track, Nobody Breaks You e la ballatona country-folkeggiante Dismembered).
Pare piuttosto chiaro come, nonostante il mood del disco sia pur sempre non del tutto solare (ma il titolo in qualche modo è già di suo un’ammissione di cambiamento bella e buona, così come lo è ad esempio il country primaverile di Black Hearts And Evil Done), i tempi delle piogge acide e delle nubi funeste siano per Cantrell ormai alle spalle. Quello di oggi è un musicista in pace con se stesso e con le perdite che ha dovuto affrontare nel corso di una vita intera, un musicista consapevole della propria caratura e di come per lui possa esserci ancora oggi una dimensione da protagonista. I demoni invece, quelli non trovano più nessuno spazio nel Cantrell non più biondo ma canuto, e in fondo va bene così per tutti.
(2021, Double J Music)
01 Atone
02 Brighten
03 Prism Of Doubt
04 Black Hearts And Evil Done
05 Siren Song
06 Had To Know
07 Nobody Breaks You
08 Dismembered
09 Goodbye
IN BREVE: 3,5/5