È incredibile osservare come la maggior parte delle cantautrici abbiano fatto della lotta alla libertà espressiva il segno distintivo di intere carriere: PJ Harvey, Cat Power, Ani DiFranco, Björk, Tori Amos, St. Vincent. Il passato recente è pieno di donne, dotate di talento ed eleganza, capaci di influenzare un panorama discografico cantautorale prevalentemente dominato dal sesso opposto.
Joan Wasser, in arte Joan As Police Woman, con quello pseudonimo che potrebbe ridurla semplicemente a giocattolo erotico da fornire in dotazione al maschio alfa, si è sempre distaccata dagli stereotipi musicali che la sua potenza seduttiva poteva agevolarle, continuando a non tradire il suo passato e condividendo con il pubblico la carica emotiva di cui è dotata. Abbandonati blues ritmici e arrangiamenti di tendenza dei precedenti “Let It Be You” (2016, album in collaborazione con Benjamin Lazar Davis) e “The Classic” (2014), la Wasser abbassa toni e luci calcando lievemente le linee di “Real Life” (2006) e tracciando un sottile confine tra audacia e vulnerabilità.
Con le sue voci languide e fumose e gli arrangiamenti minimali, Damned Devotion, settimo lavoro per l’artista di Biddeford, è un album scarno ma densissimo di sensualità e di una narrazione così onesta che lascia poco spazio alle interpretazioni. Allo stesso tempo, è un lavoro molto complesso, conformemente a tutto l’universo dell’artista: come un prisma dalla vasta gamma di colori, Joan Wasser osserva la sua vita attraverso un lavoro sinergico fatto di parole e suoni efficacemente intrecciati.
Il sesso, la libertà, il dolore, l’ingenuità, l’amore paterno perduto per sempre, scorrono lungo sonorità retrò scandite dalle percussioni di Parker Kindred, che Joan stessa ha manipolato in sede di post produzione. In questo senso, la title track e Valid Jagger (un riferimento all’icona Mick Jagger ma non alla persona) sono costruite sui ritmi di una drum machine il cui calore è difficile da ripetere in un contesto totalmente rimaneggiato. “Damned Devotion” è un album quieto e sfumato ma mai statico, si compone di schegge di r’n’b (Wonderful, Tell Me), funky (Steed, omaggio allo scrittore francese Jean Genet) e soul (Rely On).
Alterna i battiti irrequieti di Talk About It Later a The Silence, con un groove che risplende tra ritmi sincopati, pianoforti e Omnichord dalle sonorità funky. I Don’t Mind chiude questo splendido insieme di chiaroscuri che attraversano la vita di una donna apparentemente normale, alla costante ricerca di mondi nuovi e nuovi modi per comporre canzoni sempre più libere e selvagge.
(2018, PIAS)
01 Wonderful
02 Warning Bell
03 Tell Me
04 Steed (for Jean Genet)
05 Damned Devotion
06 The Silence
07 Valid Jagger
08 Rely On
09 What Was It Like
10 Talk About It Later
11 Silly Me
12 I Don’t Mind
IN BREVE: 3,5/5