Quella di Jonathan Wilson è una storia iniziata a metà anni Novanta con i Muscadine insieme a Benji Hughes, il tempo di un solo album e arriva lo scioglimento nel ‘97. Da lì in poi, Wilson inizia a produrre e partecipare a dischi di artisti come Erykah Badu, Elvis Costello, Jackson Browne (qui ospite), Will Oldham, Chris Robinson, prima di ingranare nuovamente la marcia, stavolta da solista. Nel 2007 è arrivato “Frankie Ray”, nel 2011 il superlativo “Gentle Spirit” che ha richiamato l’attenzione sul suo estro compositivo.
Una delle verità innegabili sul conto di Wilson è che fa le scarpe a tanti nomi ben più blasonati del nuovo panorama folk americano, si vedano Fleet Foxes, Bon Iver, Mumford & Sons e altra robetta simile. Affonda le radici nella tradizione dei grandi cantautori statunitensi, i Bob Dylan, i Neil Young e i David Crosby, guardando anche all’Inghilterra psichedelica di Roy Harper e Pink Floyd. Soprattutto i Pink Floyd.
Fanfare certifica il grande talento di Jonathan Wilson, sia come compositore che come ingegnere. I suoni sono caldi e analogici e rendono le tredici istantanee dell’album, da lui stesso registrate e prodotte e mixate, leggermente ingiallite come vecchie fotografie in cui, nonostante tutto, i dettagli sono ben visibili.
Wilson chiama a sé una lunga lista di collaboratori e ospiti, alcuni li abbiamo già citati: David Crosby e Graham Nash, Jackson Browne, Josh Tillman, Roy Harper. Inevitabile che qualcosa dello stile di ognuno finisse tra questi solchi.
Ci sono momenti profondi ed emozionanti, come la melodrammatica All The Way Down, la leggiadria folk sixties di Cecil Taylor, gli impeti alla Jefferson Airplane di New Mexico (Harper firma il testo), la stessa title track iniziale, che indugia sui Genesis periodo-Gabriel.
Seppur costellato di richiami a tanti altri artisti, “Fanfare” non suona mai derivativo o ricalcato su roba altrui, bensì è un verace omaggio alla musica che ha svezzato il suo autore. Non è quindi criminale che nell’eccellente Lovestrong i cenni a “Echoes” dei Pink Floyd non siano minimamente occultati, tutt’altro. O che in Love To Love i Lynyrd Skynyrd siano ben più di una vaga assonanza. O che Moses Plain sembri una cover di Bob Dylan. O che i sax armonizzati nell’incipit nell’irresistibile rythm’n’blues di Fazon siano diretti discendenti di Sun Ra. Per niente, è un gran godere invece ritrovare tutti questi rimandi senza che suonino banali o scopiazzati. Ottimo poi il primo singolo, quella Dear Friends che si schiude su un valzer delicato per poi concedersi a un abrasivo quattro-quarti che strizza l’occhio ai Led Zeppelin. I passaggi a vuoto sono pochi e mai tragici, la sola Desert Trip non fa centro pieno.
Un disco lungo e complesso, con brani di durata media tra i sei e i sette minuti, arrangiamenti ricchi e pomposi che avvolgono slanci melodici da primo della classe, “Fanfare” ha l’odore del legno bruciato, il sapore strutturato di un buon vino, richiede tempo e attenzione per far sì che i suoi enormi tesori si rivelino. Prova del nove superata per questo grandissimo talento.
(2013, Bella Union)
01 Fanfare
02 Dear Friends
03 His Hair Is Growing Long
04 Love To Love
05 Future Vision
06 Moses Plain
07 Cecil Taylor
08 Illumination
09 Desert Trip
10 Fazon
11 New Mexico
12 Lovestrong
13 All The Way Down