Come molti, pago una certa devozione nei confronti di Josephine Foster. Sono vent’anni che questa grande artista, soprattutto una voce eccezionale, si produce in una serie di pubblicazioni che si sono spesso superate tra di loro. Credo sia una dei pochi artisti che nel nuovo millennio si siano espresse a un livello sempre molto alto sin dagli esordi o comunque da “All The Leaves Are Gone” (2004), in una carriera che per un periodo l’ha vista esprimersi in maniera eccellente anche in lingua spagnola in produzioni che sono legate alla sua partnership con il marito (adesso ex) e storico collaboratore, il chitarrista Victor Herrero.
No Harm Done è un disco che è stato pubblicato a sorpresa, non era stato annunciato dalla Fire Records, e nasce da delle sessioni tenute a Nashville con il suo chitarrista Matthew Schneider durante la scorsa primavera. Definito come una “lettera d’amore”, il disco prosegue il percorso intrapreso da anni dall’autrice, riuscire a mettere assieme quella che potremmo definire come una forma di composizione alta, magari anche impegnativa, specialmente sul piano delle liriche, con un’estetica folk che è anche pop e che per un certo periodo ha avuto degli epigoni che si sono poi più o meno tutti persi per strada. Penso ad esempio a Devendra Banhart.
Questo lavoro costituisce in qualche maniera una sorta di approdo a una forma di musica country-folk popolare nei canoni della tradizione musicale americana, la location di Nashville evidentemente non è casuale. Se ascoltiamo canzoni come la ballad per pianoforte Howe Come, Honeycomb? (ma pure nella traccia d’apertura Freemason Drags, che ha una certa epica tipica da pianoforti polverosi stile Howe Gelb) riconosciamo una connessione a della musica che negli Stati Uniti d’America è senza tempo.
La stessa Conjugal Bliss contempera allo stesso tempo questo stile classico, annotazioni americana e un’eleganza che è tipica di quest’artista che ha una voce melodiosa e che riesce a rendere espressive e accattivanti delle “ariette” come la Love Letter che sta al centro del concept dell’album. Un sound corredato da arrangiamenti minimali che contornano le performance vocali, che si impongono per forza di cose al centro (come potrebbe essere altrimenti) con una discrezione sottile (esemplare il caso di Leonine), un utilizzo corretto di strumentazione come la chitarra a dodici corde e la lap steel e quindi il grande lavoro da parte proprio di Schneider.
Fondamentale in tutto questo la produzione di Andrija Tokic, si sente la dovuta accortezza nella commistione dei suoni, anche su un piano più complesso come Old Saw, che determina alla fine un disco che ambisce a essere un “classico” per la musica folk e americana. Probabilmente non è il punto più alto della produzione di Josephine, ma sono sicuro che anche stavolta i suoi ascoltatori storici resteranno appagati e che nuovi ascoltatori, più accorti e scevri da pregiudizi nei confronti del genere, apprezzeranno una voce che è semplicemente unica (ma potrebbe apparire “scomoda” a chi è avvezzo all’ascolto di musica meno convenzionale), che avvolge con grande forza e allo stesso tempo accoglie con gentilezza.
(2020, Fire)
01 Freemason Drag
02 The Wheel Of Fortune
03 Conjugal Bliss
04 Love Letter
05 Sure Am Devilish
06 Leonine
07 How Come, Honeycomb?
08 Old Saw
IN BREVE:Â 3,5/5