La maledizione del secondo album è l’equivalente della crisi matrimoniale del settimo anno, soprattutto quando l’esordio ti trascina dall’impersonalità dell’anonimato all’olimpo del record di vendite, trasformandosi a volte in quell’arma a doppio taglio peggior nemica di un’artista.
Il duo britannico Jungle, nei panni degli appena trentenni Tom McFarland e Josh Lloyd-Watson, reduci dal successo del 2014 che li ha trascinati dalla loro stanzetta londinese al palco di Glastonbury, ai mix dei Soulwax e agli apprezzamenti di un personaggio scomodo come Noel Gallagher, sono passati in poco meno di un anno da nerd smanettoni a collettivo musicale elettro-funk-soul (declinazioni fastidiose ma necessarie) vincitore di un Mercury Prize, con un debutto certificato disco di platino in UK.
È un paradosso, calcolando l’immensa sproporzione tra le due Nazioni, ma è pur vero che l’Inghilterra resta, a tutt’oggi, l’unico Paese in grado di contrastare l’egemonia americana, in ambito musicale; altrettanto singolare è il talento di McFarland e Watson a creare sonorità funk, soul, hip hop, portatori sani di quell’energia primordiale e sensuale di dubbia provenienza anglosassone, non fosse altro che per le temperature non esattamente calde e i vincoli paesaggistici tutto tranne che esotici.
Rispetto all’omonimo del 2014, For Ever cambia lievemente mood, aggiusta gli ingranaggi, raffina le liriche, fa più attenzione al suono, aggiunge qualche cucchiaiata di malinconia, ampliando la sottigliezza dello spettro sonoro grazie anche all’aiuto del produttore Inflo e senza tradire le speranze che una buona fetta di seguaci aveva riposto nel duo britannico. Al gruppo è bastato poco più di qualche mese per assorbire una attitude losangelina e rientrare a Londra per completare le registrazioni: le armonie di “For Ever” sono più pastose e ammiccanti rispetto all’esordiente album omonimo; le temperature, quelle tipiche delle coste californiane.
Smile è uno splendido inizio con un altrettanto trainante attacco elettro swingato; Heavy California e Cherry sono impregnate di un groove morbido e un suono patinato, e anche quando la temperatura si abbassa lievemente l’ascolto scorre senza perdere la concentrazione, passando da Casio a Mama Oh No a Cosurmyne costruita su un pianoforte e un vecchio campione vocale retrò e sfuggente, fino a Give Over jazzata e astratta con un insolito senso di contrasto.
I quattro video che lanciano Heavy California, Cherry, Happy Man e House in LA sfruttano il tema comune della coreografia per trasmettere la personalità dei Jungle, con una coerenza tematica e una linea di produzione tipica di una campagna di marketing attentamente orchestrata. Se è vera la riservatezza di McFarland e Watson, restii sin dall’inizio ad apparire in video posticipando la diffusione delle loro identità, è altrettanto evidente il gusto spiccato di entrambi per i contenuti virali, sia visivi che musicali.
(2018, XL)
01 Smile
02 Heavy, California
03 Beat 54 (All Good Now)
04 Cherry
05 Happy Man
06 Casio
07 Mama Oh No
08 House In LA
09 Give Over
10 Cosurmyne
11 Home
12 (More and More) It Ain’t Easy
13 Pray
IN BREVE: 3,5/5