A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Il senso di scomodare Papi ed ex Senatori a vita può tornare utile a calmierare l’atto barbaro di raccontare un album attraverso rimandi ad altri artisti ed altre epoche. È proprio questa la più grande pecca di Loving In Stereo, terzo lavoro dei Jungle. Sin dal loro debutto del 2014 nominato al Mercury Prize, il duo inglese si è guadagnato uno status da primi della classe mantenuto quasi intatto con “For Ever” del 2018. Con due precedenti più che buoni, va da sé che le aspettative nei confronti del loro prosieguo discografico erano più che alte. Impossibile, purtroppo, non rilevare come “Loving In Stereo” sia più promettente sulla carta che nei fatti.
Non è un caso che in un’intro come Dry Your Tears, in successione con il singolo Keep Moving, con una lenta progressione corale e orchestrale fino a raggiungere un groove squisitamente anni ‘70, vantino la collaborazione con la violoncellista Rosie Danvers, direttore d’orchestra nonché nome eccellente riferibile agli arrangiamenti orchestrali e strumentazioni classiche applicate alla musica pop (suoi gli archi di “Set Fire To The Rain” di Adele, il violoncello di “Paradise” dei Coldplay e i fiati su “All Of The Lights” di Kanye West, oltre svariate collaborazioni con Noel Gallagher e Frank Ocean). Ma è altrettanto vero che sia il duo che la direttrice d’orchestra abbiano dato la sensazione di essersi giocati tutti gli assi in meno di dieci minuti.
L’hype iniziale è talmente stimolato che quando si arriva alla fase calante non ci si crede. Ma la gioia dura giusto il tempo di un caffè: a partire dalla terza traccia l’eleganza diventa scipitezza e l’appeal cala inesorabilmente. Le tracce di “Loving In Stereo” non sono pasticciate o poco valide, semplicemente sono portatrici di un’estetica elettronica a base di funk, soul e arrangiamenti orchestrali che ricordano eccessivamente un’ondata specifica di disco anni ‘70, da Chaka Khan agli Earth, Wind & Fire, ripresa poi da centinaia di artisti, uno tra tutti Jamiroquai. Ecco, “Loving In Stereo” pur avendo gli strumenti (e potete crederci, ne contiene un’infinità) non riesce a spettacolarizzare un tributo a un genere specifico (Can’t Stop The Stars, What D’You Know About Me? o Just Fly, Don’t Worry sono un esempio in questo senso).
Ci sono pezzi che nonostante si distacchino dai rimandi appena citati (Talk About It, Truth, Romeo in collaborazione con il rapper Bas) non riescono a suscitare chissà quale goduria uditiva. Potrebbe trattarsi di una comfort zone gestita ad hoc dopo l’abbandono alla XL Recordings che ha portato Tom McFarland e Josh Lloyd-Watson a discutere con Inflo (già produttore di Michael Kiwanuka) sulla possibilità di allargare un pubblico cui erano scappati i primi due album.
Il particolare che rende la delusione ancora più cocente è notare come “Loving In Stereo” sia stato un foglio bianco per i Jungle: mai prima di adesso il duo si era servito di una tale varietà di strumenti (viole, flauti, corni francesi, tromboni, sassofoni) e di una partecipazione vocale con più di quattro elementi. Insomma, il risultato è discreto ed è davvero un peccato. La severità di un pensiero simile è direttamente proporzionale a ciò che si è dato prova di saper fare, perché stavolta i primi della classe sono arrivati appena alla sufficienza.
(2021, AWAL)
01 Dry Your Tears
02 Keep Moving
03 All Of The Time
04 Romeo (feat. Bas)
05 Lifting You
06 Bonnie Hill
07 Fire
08 Talk About It
09 No Rules
10 Truth
11 What D’you Know About Me?
12 Just Fly, Don’t Worry
13 Goodbye My Love (feat. Priya Ragu)
14 Can’t Stop The Stars
IN BREVE: 3/5