Quanto è potente la parola. Quanto può essere autorevole se utilizzata al pieno della sua massima espressione. E quanto può essere grande un artista che riesce a polarizzare tutta l’attenzione sulla comunicazione verbale pur esprimendosi in una lingua non universale. Una premessa è doverosa: è impossibile ripagare il talento di Kae Tempest con la sua stessa moneta. Fino a oggi, il verbo di Tempest è sempre stato unilaterale, come a rimarcare un potere negoziale con una legislazione valida in una sola sfera. Le loro opere sono definibili come voli pindarici che spaziano dalla politica, al sociale, alla Brexit trattate con un’inarrivabile ars oratoria.
Se possibile, The Line Is A Curve è differente da tutto il resto. Il titolo è un ossimoro; il suo carattere, dialogante: ci sono Loro e poi Noi come pedine di un gioco semiotico, spaccati in due e attraversati. “The Line Is A Curve” è un confine dialogante, contrastato, mutevole come Tempest che non è più Lei ma Loro ed è interessante notare come la fine di quest’unilateralità coincida anche con il più personale dei suoi lavori. E badate bene, l’identità di genere non rappresenta per nulla lo snodo centrale del lavoro di Tempest: gran parte dell’album è frutto del tempo che precede di largo il suo coming out del 2020.
Quest’album rappresenta lo sforzo di liberarsi dal senso di colpa, dalla vergogna; sperimentare che sapore potrebbe avere conoscersi davvero e poi piacersi e accettarsi come persone fallibili ma non per questo meno seducenti. Ci sono uno, nessuno e centomila Kae in quest’album, incluse le collaborazioni che nascono dalle loro reciproche relazioni viscerali e dove ognuno è chiamato a dare identità. Il ritorno di Dan Carey cambia radicalmente le abitudini di Tempest: i synth a pioggia di Priority Boredom, I Saw Light, Nothing To Prove o le melodie strumentali e liriche di No Prizes (feat. Lianne La Havas) e These Are The Day, sono ancora una volta testimoni di un contratto dialogico che aiuta immediatamente a percepire un cambiamento.
Ciononostante, è sempre la parola a dettare le regole: la sua scansione, il suo umore, le sue intenzioni decretano un tempo capriccioso e lunatico in cui si pronunciano anche i silenzi. Non è casuale l’alternanza semantica di “rush” e “pause” in I Saw Light, come non è fortuita la presenza vocale di un antagonista d’eccezione come Grian Chatten (Fontaines D.C.). Le linee di More Pressure (“More release, More relief, More belief, More distance, More reach, The truth is I don’t know”)si leggono in assenza di intervalli e con un ritmo da club che dà accento e peso in maniera così idiosincratica da sottolineare l’appartenenza a una storia che è sua e di nessun altro.
Salt Coast è Tempest nel suo legame di sangue, fondo servente e allo stesso dominante di un Regno Unito a cui, nonostante tutto, appartiene: “The see-but-don’t-feel, The know but don’t mention”. In Smoking, Tempest e Confucius MC si sovrappongono e si completano: “When I smoke, I remember my mother smoking, that can’t be healing” – canta Tempest – “No healing, til it’s all broken. Break me”, conclude Lui. Fanno un certo effetto quelle corde pizzicate dolcemente all’interno di Grace che, inaspettatamente, chiude il cerchio.
Tempest fornisce una connessione tra persone, in un gioco opposto di tensioni che è proprio di ciascuno di Noi ma che non esclude la ricerca di un senso comunitario. Si mette in gioco con tutta se stessa con un gesto che probabilmente è il più forte di tutti: un mezzo busto in copertina senza più quei capelli ricci che la aiutavano a nascondersi. La sua parola supera tutto, anche la paura.
(2022, Fiction)
01 Priority Boredom
02 I Saw Light (feat. Grian Chatten)
03 Nothing To Prove
04 No Prizes (feat. Lianne La Havas)
05 Salt Coast
06 Don’t You Ever
07 These Are The Days
08 Smoking (feat. Confucius MC)
09 Water In The Rain (feat. ãssia)
10 Move
11 More Pressure (feat. Kevin Abstract)
12 Grace
IN BREVE: 4/5