È ormai da più di un decennio che la carriera di Kanye Omari West è, più che la carriera di uno dei migliori e innovativi produttori degli ultimi vent’anni, uno stramaledetto reality show. Ma non un talent, una roba che a dispetto del risultato più o meno discutibile cerca di mostrare delle qualità nei concorrenti. No, la carriera di Kanye somiglia sempre più a un misto tra Jersey Shore e gli Osbourne: trash, a volte involontariamente divertente e piena di persone che probabilmente avrebbero bisogno di aiuto invece di gente che gli ride appresso o le idolatra ciecamente. La situazione di Ye è particolarmente preoccupante da quando nel 2016 fece, interrompendo un concerto, un accorato appello affinché l’amico Jay Z non mandasse dei gangster per ucciderlo, per essere poi portato in ospedale, sotto osservazione psichiatrica, con l’intramontabile diagnosi di disidratazione e mancanza di sonno.
Quasi in contemporanea, anche la produzione sonora ha preso la forma del reality: quel “The Life Of Pablo” (2016)più volte modificato dopo esser stato pubblicato, il successivo “Ye” (2018)nel quale si dichiara bipolare niente meno che in copertina, album annunciati che non arrivano e ora la mossa forse più inaspettata: un album gospel. Beh, hip hop gospel, non è di certo “How Great Thou Art” di Elvis.
Jesus Is King nasce, sempre per essere quanto più reality possibile, con un post Instagram di Gennaio della moglie di Kanye, la reality star Kim Kardashian, che annuncia che Kanye farà la messa ogni domenica. Sì, la messa, che per noi italiani difficilmente si traduce in ciò che chi non era presente ha potuto osservare tramite le storie Instagram della Kardashian: un coro gospel, ma di quelli veri (estremamente talentuosi, peraltro), che canta, canta e ancora canta. Un rapito Kanye dirige e, non prima di aver registrato il marchio dei Sunday Service e averlo piazzato per bene sul merchandising, si sposta con questa sorta di messa itinerante tutte le domeniche in giro per l’America – chiaramente ne ha parlato nel nuovo show di Letterman. Folla in visibilio, cristiani inferociti, sipario.
Accompagnato dalla solita pletora di ospiti famosi, Ye sfodera il suo classico rappare senza rime, abusa di sintetizzatori e inserisce inserti completamente scollegati dal resto (come il bell’assolo di sax di Kenny G in Use This Gospel – peraltro Kenny G è uno degli artisti più venduti di sempre, ma è l’opposto del “cool”, odiato dai musicisti jazz e schernito per la banalità della sua musica dal pubblico più sofisticato… che questa non sia una scelta casuale?).
Inizia con un vero e proprio gospel, la meravigliosa Every Hour, e poi procede con la ormai tradizionale opera in versi in difesa di Kanye. In “Jesus Is King”però la spiritualità dell’argomento va a detrimento dell’egocentrismo kanyeano, che nei suoi migliori momenti già camminava in equilibrio su un sottile filo tra l’arrogante e il ridicolo, rendendo parte dei testi insostenibili, come le banalità pseudo- autobiografiche (“When I thought the Book of Job was a job / The Devil had my soul, I can’t lie / Life gon’ have some lows and some highs” in On God) o le sceneggiate da martire (“What have you been hearin’ from the Christians? / They’ll be the first one to judge me / Make it seem like nobody love me” in Hands On) e le citazioni a cazzo di cane per giustificare le cagate dette in passato (“Won’t be in bondage to any man / John 8:33 / We the descendants of Abraham / Ye should be made free / John 8:36 / To whom the son set free is free indeed” in Selah).
Ritornando a Elvis, il suo gospel era un estremo atto di umiltà e un ricordo dell’infanzia, e suonava per questo ancora più glorioso; per Ye, che non più di qualche album fa dichiarava “I am a God / Hurry up with my damn massage”, suona come tutt’altro che un atto di redenzione, ma piuttosto come uno un po’ suonato che si è convinto che Dio sia dalla sua parte e la sua arroganza sia per questo giustificata, facendo cadere i testi dalla sottile corda che li teneva in equilibrio, talvolta dal lato del ridicolo, talvolta dal lato dell’insostenibile arroganza di Yandhi.
Non mancano validissimi spunti musicali, che tendenzialmente emergono quando Kanye si sposta dietro le quinte, tornando a essere quel fenomenale produttore che era: che sia il gospel cantato da Ant Clemons e il Sunday Service (Water), il chopped and screwed del sample di Follow God o l’hook vocale di Use This Gospel bilanciato dall’aggressività di Pusha-T; ma questi spunti si perdono un po’ nel marasma di ventisette minuti musicalmente validi ma complessivamente non eccelsi, testualmente a tratti irritanti e nei quali la coerenza sonora è un valore che si lascia ampiamente desiderare.
“Jesus Is King” non è una catastrofe come “Saved”, l’album cristiano di Bob Dylan, e lascia molti dubbi sulla carriera futura di Kanye. Che diavolo è questo? Uno stunt pubblicitario? Una sincera, ma incompresa, opera di fede (fede che, del resto, era già stata esplicitata nella “Jesus Walks” contenuta in “The College Dropout” del 2004)? Un grido di aiuto di qualcuno forse più sensibile di quanto non lasci credere, che è stato fagocitato dal proprio ego e da un mondo estremamente volubile e feroce? Perlomeno Kanye ha dato qualcosa di cui parlare che non sia una cerimonia interrotta o un ricovero ospedaliero.
(2019, GOOD / Def Jam)
01 Every Hour (feat. Sunday Service Choir)
02 Selah
03 Follow God
04 Closed On Sunday
05 On God
06 Everything We Need (feat. Ty Dolla $ign & Ant Clemons)
07 Water (feat. Ant Clemons)
08 God Is
09 Hands On (feat. Fred Hammond)
10 Use This Gospel (feat. Clipse & Kenny G)
11 Jesus Is Lord
IN BREVE: 2,5/5