Del resto non esiste articolo, recensione o commento su Facebook o Twitter che faccia riferimento a Kanye West senza parlare della sua vita privata, del suo profilo Twitter o dell’ultima persona che ne ha subito le ingiurie; né sarebbe materialmente possibile: ha creato (lui o chi per lui) un personaggio (ammesso e non concesso che il buon “Yeezy” non sia effettivamente questa imbarazzante caricatura di una barzelletta sessista), un personaggio talmente gigantesco, talmente ingombrante che la musica che produce è diventata, col tempo, un irrilevante ammennicolo.
E, ancora, i suoi testi sono (in quest’album peggio che mai) squisitamente brutti, tendenzialmente irrilevanti, talvolta pure mal scritti, tranne quando dicono qualcosa di orribilmente offensivo o idiotico, cosa che accade svariate volte in questo “The Life Of Pablo”, che sia essa un riferimento allo sbiancamento anale, a delle bitches che vorrebbero un-swallow determinati nigga – evidentemente non meritevoli di quella medaglia d’onore che solo i nigga di una certa risma riescono ad ottenere, e cioè non fare pentire la bitch di aver swallowed – o un riferimento alla patetica diatriba con Taylor Swift (“I made that bitch famous”). E sembra incredibile come un rapper con un flow meno che mediocre e che la maggior parte delle volte non si preoccupa nemmeno di fare rime (tranne gli occasionali “Kanye” che rima con “Kanye” e “West” che rima con “best”, naturalmente, con il bonus di qualche verbo in “-ing” fatto rimare così, per sport) sia trattato con assoluta reverenza da gente come Kendrik Lamar o Frank Ocean, entrambi ospiti in quest’album, o dai Daft Punk. Così come lascia genuinamente perplessi la presentazione della musica del nuovo album (che, qualcuno potrebbe far notare, non abbiamo ancora minimamente toccato in questa lunga, pallosa tirata), appaiata con un evento di moda – manco a dirlo, la collezione di Kanye – a 160 Dollari a cranio al Madison Square Garden, Naomi Campbell, fotomodelle, famiglia Kardashian vestita di bianco, collezione Adidas e Pablo.
La musica, dannazione, la musica che dovrebbe essere il centro della vita di un musicista: la musica, non è difficile capirlo, è stata rivista, revisionata, ritoccata una quantità spropositata di volte, con il risultato di avere un album musicalmente incoerente (non necessariamente in senso negativo), specialmente se comparato con il minimalismo esasperato di “808s & Heartbreak” o la furia elettr(on)ica di “Yeezus”, che vive di spunti, spunti che emergono immediatamente col gospel di Ultralight Beam e che ritroviamo di tanto in tanto, spesso più tratteggiati a matita che impressi con decisione. Esperimenti sonori che ci ricordano che Kanye un talento vero ce l’ha eccome, ed è quello di produttore che ricerca sempre suoni e combinazioni sonore nuove, talvolta con scarso successo, talvolta con risultati interessanti ma non esattamente piacevoli per il grande pubblico (Feedback), se non fosse che, dato che li fa Kanye, vengono accettati – che sia forse questo il merito che ne fa un artista (inspiegabilmente) riverito?
Insieme a lui qui possiamo trovare una quantità sterminata di collaboratori, alcuni ad aiutare con la produzione e altri a fare sentire la propria voce, come Rihanna nella squallida Famous, o il già citato Lamar in No More Parties In LA, non coincidenzialmente uno dei migliori pezzi dell’album.
Ma, alla fine della fiera, se c’è da parlare di sostanza, c’è poco di che vantarsi. Di certo questo non è il più grande album di sempre, come aveva annunciato Yeezy: un hip hop in parte non destinato al grande pubblico per via di sonorità minimali (che tuttavia potrebbero incontrare il grande pubblico, come accadde per gli altri album di West, se si deciderà a revocare l’esclusiva assoluta su Tidal, elitario servizio di streaming fondato da Jay-Z) e in parte talmente blandamente già sentito da non aggiungere nulla al campionario di ingiurie, pompini, bitches e autotune di Kanye, se non un uomo in crisi, forse stanco della farsa (Dio santo, chi non lo è?), sempre più autoreferenziale, sempre più contro tutto e tutti (tranne la sua Kardashian, che sembra paragonare alla vergine Maria in Wolves, e Bill Cosby, secondo lui – o il suo account Twitter – innocente).
Anzi, una cosa la aggiunge, seppur una piccola cosa: I Love Kanye, a metà tra il sarcasmo e l’autoironia: «What if Kanye made a song about Kanye / Called “I miss the old Kanye” / Man that would be so Kanye, that’s all it was Kanye / We still love Kanye and I love you like / Kanye loves Kanye». Una volta tanto Kanye ci fa sorridere, e forse grazie ad essa riusciamo ad apprezzare di più l’uomo Kanye, che tra mignotte e ani alla candeggina ricorda sua madre, suo padre, la moglie che non riesce a chiamare quanto vorrebbe e i suoi figli. In fondo, dietro alla maschera potrebbe esserci una persona.
(2016, Def Jam / G.O.O.D. Music)
01 Ultralight Beam (feat. Chance The Rapper, Kirk Franklin)
02 Father Stretch My Hands Pt. 1 (feat. Kid Cudi)
03 Pt. 2 (feat. Desiigner)
04 Famous (feat. Rihanna)
05 Feedback
06 Low Lights
07 High Lights (feat. Young Thug)
08 Freestyle 4 (feat. Desiigner)
09 I Love Kanye
10 Waves (feat. Chris Brown)
11 FML (feat. The Weeknd)
12 Real Friends (feat. Ty Dolla Sign)
13 Wolves (feat. Frank Ocean, Caroline Shaw)
14 Silver Surfer Intermission
15 30 Hours (feat. André 3000)
16 No More Parties In LA (feat. Kendrick Lamar)
17 Facts (Charlie Heat Version)
18 Fade (feat. Ty Dolla Sign, Post Malone)
IN BREVE: 2/5