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Keeley Forsyth – Debris

È un album bellissimo, Debris. Difficile. Da pensare, da creare, da trascinare. Da pensare perché nasce dal più oscuro dei mali: la depressione dell’autrice, Keeley Forsyth, attrice prevalentemente televisiva e prevalentemente – vedi la vita, a volte – impegnata su soap, programmi, format per bambini o per famiglie. Da creare: perché ci sono dentro Scott Walker, Nico, Nick Cave, Julia Holter. E nessuno di loro si sentirebbe minimamente leso dalla citazione. Da trascinare anche, perché poi questi mostri devi portarli in giro oltre che inciderli; devi parlarne, giustificarli, esporli. Ma il passo più importante è stato mosso.

Il passo più importante è guarire ed esorcizzare la sofferenza, la follia. Dalle macerie di cui il titolo, appunto, costruire otto pezzi splendidi e differenti, uniti dalla magnifica voce della cantautrice. Gli arrangiamenti sono, lungo i nemmeno trenta minuti dell’opera, essenziali senza mai essere esiziali: caratteristica portante della struttura del disco, che ne esce praticamente intoccabile sotto questo aspetto. Si va subito dal baratro iniziale della title tracka una forma canzone certamente tetra ma volutamente non così ostica (le splendide Black Bull e It’s Raining).

Look To Yourself raggiunge anche, se possibile, una nota di luce inaspettata, perfettamente incastonata al centro del long play. Lost è semplicemente un capolavoro, saltata – come sembra – fuori da quella pietra miliare che è “The Drift” (2006): un altro, potentissimo sguardo verso l’oblio, che con Butterfly continua a sbattere le ali. Negli archi e nelle sparute note di pianoforte di Large Oak c’è quel miracolo che è il songwriting nella sua veste più elegante e commovente, mentre nel battito sintetico di Start Again – episodio unico e giustamente conclusivo – c’è la faticosissima necessità di respirare di nuovo (Over and over and over and over”, ripete ossessivamente).

Il grande merito di “Debris”, tra tutti gli altri e come già in parte anticipato, è quello di riuscire a mettere il dolore in una teca che non provochi, a sua volta, dolore a chi ascolta. La composizione, l’incedere e la durata sono fatti appositamente per sbirciare il fastidio della ferita senza il delirio della cancrena. Nulla è in mostra. Meno che il talento enorme e inatteso della signora Forsyth.

(2020, The Leaf Label)

01 Debris
02 Black Bull
03 It’s Raining
04 Look To Yourself
05 Lost
06 Butterfly
07 Large Oak
08 Start Again

IN BREVE: 4/5

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