Ok, stop alle indagini, colpevole smascherato. I Bloc Party avevano tirato fuori dal cilindro un album d’esordio impattante, quel “Silent Alarm” datato 2005, perdendosi poi nel corso degli anni, con due uscite tutt’altro che convincenti come “A Weekend In The City” (2007) e “Intimacy” (2008). Il sospetto che dietro tutto ciò ci fosse quel simpaticone di Kele Okereke, frontman della band londinese, in realtà c’è sempre balenato nella mente. Ma, come in ogni Stato di Diritto che si rispetti, senza prove non si condanna nessuno. La prova giunge in questa calda estate 2010 con The Boxer, esordio da solista di Okereke (qui semplicemente “Kele”) e punto di partenza per un riesame di ciò che gli stessi Bloc Party hanno fatto negli ultimi anni. Da fenomeno indie-rock a fenomeno dancefloor il passo era stato davvero breve: via le chitarrine e dentro un bel po’ di elettronica, via la sessione ritmica (forse l’aspetto più convincente per i quattro inglesi) e dentro campionamenti a go-go. Una svolta verso il sintetico evidente e palesemente studiata a tavolino, nata ed elaborata sulla scia del nuovo e dilagante filone indie. E che a quanto pare vedeva Kele in cabina di regia, smanioso di cimentarsi con tutte quelle tecniche per fare musica che poco hanno a che fare con gli strumenti. Con la differenza che, se sei Fatboy Slim, Moby, i Telefon Tel Aviv o i Chemical Brothers, magari sai anche dove metterci le mani. Nel caso di Okereke queste mani sembrano brancolare a casaccio su mixer e tastiera del computer: ci sono brani come On The Lam, roba alla stregua delle peggiori hit dance degli anni ’90. Meri riempitivi come The New Rules o All The Things I Could Never Say, fatti di vocalizzi eccessivi, effetti rumoristici eccessivi e minutaggio eccessivo. E poi c’è anche qualche segno di continuità con “Intimacy”, vedi Everything You Wanted e Unholy Thoughts, due di quelle tracce che appena ascoltate sai già di averle sentite da qualche altra parte, solo non ricordi dove e quando. Un peccato, davvero un peccato per un artista che, comunque, ha dimostrato nel recente passato di valere qualcosa. Va bene l’ecletticità, va bene la sperimentazione (???) e persino un tocco di sana sboroneria, ma ogni cosa ha un limite. Che diavolo vuol dire, quest’album, lo sa soltanto Kele Okereke.
(2010, Whicita / Polydor / Glassnote)
01 Walk Tall
02 On the Lam
03 Tenderoni
04 The Other Side
05 Everything You Wanted
06 The New Rules
07 Unholy Thoughts
08 Rise
09 All the Things I Could Never Say
10 Yesterday’s Gone
A cura di Emanuele Brunetto