In un mondo di tracce iperprodotte e sciapi suoni digitali, i Khruangbin si sono imposti fin da subito come “gli artigiani della qualità” del music business. Il suono senza tempo del trio texano ha messo d’accordo tutti fin dal debutto discografico del 2015, “The Universe Smiles Upon Us”, arrivato dopo che il producer Bonobo, inserendo una loro traccia nella compilation “Late Night Tales” e portandoli con sé in tour, contribuì in modo determinante all’ascesa di una delle band più improbabili e migliori che sia capitato di sentire negli ultimi tempi.
“Con Todo El Mundo” (2018) è l’album della definitiva consacrazione, dovuta proprio alla palpabile “artigianalità” del suono, che sembrava provenire da un vecchio vinile seppellito dagli anni ’70 tra gli scaffali di un negozio: una chitarra dalle melodie immediate ed essenziali, un basso e una batteria imperturbabili nei loro groove ipnotici, poca produzione, coretti riverberati, un gusto che guarda tanto ai suoni “esotici” del Sud Est asiatico (come il nome della band, in lingua tailandese, che a quanto pare si pronuncia Krung-bin) quanto alle colonne sonore di genere riportate al grande pubblico da Quentin Tarantino. Si sono riuniti ai loro concerti i fan dell’indie rock, della psichedelia, i cultori di suoni retrò come il surf rock e anche chi ama l’hip hop fatto in una certa maniera, tanto che i Khruangbin nel tempo hanno diviso il palco con i mostri sacri del Wu-Tang Clan e sono stati recentemente campionati da Mos Def e nel debutto di Jay Electronica.
Le aspettive per un nuovo lavoro erano quindi comprensibilmente elevate e il trio stesso non ha saputo attendere l’arrivo del terzo album in studio, pubblicando a sorpresa a inizio anno un bellissimo EP in collaborazione con il cantante soul Leon Bridges, “Texas Sun”, sottofondo di un ideale road trip sulle afose autostrade degli Stati Uniti. Ora il nuovo album ufficiale è arrivato, si chiama Mordechai e ci mostra le nuove coordinate geografiche nel viaggio intorno al mondo di Laura Leezy, Mark Speer e Donald DJ Johnson. Queste coordinate sono così vaste ed eterogenee che non hanno nessun riferimento concreto, tanto che lo stesso Speer ha dichiarato in una recente intervista che l’intenzione stavolta era di non “suonare” come nessun posto specifico.
È questa la possibile chiave di lettura per l’ascolto di “Mordechai”, nonostante molte tracce siano un forte richiamo ai dischi precedenti (First Class, Father Bird, Mother Bird): compaiono mischiati nella tracklist pezzi disco da ballare (So We Won’t Forget, Time (You And I)), un inedito sound latineggiante (Pelota) e soprattutto l’onnipresenza della voce a coprire il tappeto sonoro (If There Is No Question), con la bassista Laura Leezy sempre in primo piano nel cantato. A chi ha seguito i Khruangbin dalle prime gesta riassunte all’inizio potrebbe mancare quella compattezza monolitica dei primi due album, ideati per essere lasciati scorrere dall’inizio alla fine come si faceva prima dell’avvento delle playlist di Spotify, così come quei netti riferimenti nella musica di certe latitudini lontane dal pop occidentale che hanno dato vita al sound che tutti abbiamo imparato ad amare.
“Mordechai” non è un passo falso, ma una doverosa sperimentazione che però ha portato a un disco meno d’impatto di “Con Todo El Mundo”, più caotico e impersonale, un sufficiente attestato di salute di una band che ha ancora tanto da dire e da dare agli ascoltatori se proseguirà il proprio viaggio nel verso giusto.
(2020, Dead Oceans)
01 First Class
02 Time (You And I)
03 Connaissais De Face
04 Father Bird, Mother Bird
05 If There Is No Question
06 Pelota
07 One To Remember
08 Dearest Alfred
09 So We Won’t Forget
10 Shida
IN BREVE: 3/5