Scrivere di quello che nella sostanza è il primo disco solista di un’artista fondamentale nella storia del rock alternative come Kim Gordon, è entro certi limiti una sorta di esercizio. Richiede, infatti, quell’accortezza nell’evitare di scadere nell’usare definizioni che sono dei cliché, abusati (non a caso) soprattutto quando si parla di donne; secondariamente nell’evitare forme di adorazione a prescindere, tanto quanto assumere qualsiasi atteggiamento di carattere nostalgico. Anche perché in questo caso specifico, non c’è niente da aggiungere a una parabola come quella dei Sonic Youth che si è compiuta e conclusa in maniera spettacolare, e va benissimo così. Fosse andata diversamente, forse la carriera artistica di Kim Gordon si sarebbe arrestata e questo per un’artista all’avanguardia sarebbe stato delittuoso.
Questo disco è bello, conferma in buona sostanza come Kim Gordon sia, tra gli ex componenti dei Sonic Youth, quella che probabilmente – e senza nulla togliere agli altri – ha più voglia di sperimentare e mettersi ancora veramente in gioco con dei contenuti nuovi. Del resto, già il progetto Body/Head (con Bill Nace) si spingeva in avanti sul piano dell’avanguardia ed era meritorio di attenzioni (a tal proposito, ricordiamo una bellissima performance dal vivo a Roma, qualche anno fa, nella quale era apparsa in gran forma e ci aveva letteralmente ipnotizzati).
La parola chiave è “comunicazione”, che poi è uno dei termini fondamentali della cultura “pop”, e qui l’accostamento, con le dovute differenze, a Yoko Ono appare inevitabile per l’approccio molto istintivo e allo stesso tempo aggressivo, oltre che intellettuale, che quest’artista ha nei confronti della “materia”. Dietro quella che può apparire pura astrazione, anche qui in verità ci sono contenuti importanti: partendo dal personale, No Home Record scompone e rimette assieme quel sogno americano le cui prime vittime sono gli stessi cittadini statunitensi. La sensazione è quella che il terreno ti venga sempre a mancare sotto i piedi, con la competizione sfrenata che non ti permette di tirare il fiato.
Mentre la ruota del mondo continua a girare e guarda adesso in qualche modo a Oriente, mentre a Occidente si alzano i muri, sebbene ritornata a Los Angeles, Kim Gordon continua a portare idealmente avanti il percorso che aveva cominciato sulla costa orientale degli Stati Uniti: da una parte all’altra del Paese come se fosse una esponente della beat generation, in un continuum che tiene unita quella controcultura con l’arte di Jackson Pollock e l’espressionismo astratto, la no-wave, i Sonic Youth: “No Home Record” è un disco post punk intellettuale e concettualmente forte, che musicalmente spinge forte sul suono del basso ma si concentra in maniera particolare sulle performance vocali di Kim Gordon, che si dimostra una vocalist eclettica e selvaggia.
Riferimenti: Siouxsie (Hungry Baby), Lydia Lunch, Suicide (Sketch Artist, Cookie Butter) e minimalismo art rock (Paprika Pony, Don’t Play It). I pezzi migliori: da una parte la frenesia ossessiva di Air BnB e Murdered Out, dall’altra il recital drone di Earthquake e Get Yr Life Back. Forse alla lunga il secondo aspetto, che ha qualcosa dell’ultimo Lou Reed, dimostra un po’ di più sul piano artistico in senso assoluto, ma su quello dell’efficacia è il primo a essere veramente forte. Bene comunque.
(2019, Matador)
01 Sketch Artist
02 Air BnB
03 Paprika Pony
04 Murdered Out
05 Don’t Play It
06 Cookie Butter
07 Hungry Baby
08 Earthquake
09 Get Yr Life Back
IN BREVE: 3/5