Ci si può provare, ma è oggettivamente parecchio complicato ricostruire la cronologia delle uscite discografiche su cui Buzz Osborne ha apposto la propria firma, tanto da protagonista quanto da comprimario, ospite, amico, ghost writer e ruoli vari ed eventuali. Soprattutto con i Melvins, certo. Buzz è uno che fermo non sa starci, che appena si ritrova in una stanza con un collega non può fare a meno di imbracciare gli strumenti e registrare cosa ne viene fuori. Spessissimo s’è trattato di quei dischi che ti cambiano la percezione della musica, a volte c’è stata anche roba più “scolastica”, realizzata più per se stesso che per noi, ma c’è andata bene lo stesso.
In mezzo a questo pandemonio di incisioni, Gift Of Sacrifice è appena il secondo lavoro da “solista”, se così si può dire, il secondo intestato al suo moniker King Buzzo dopo “This Machine Kills Artists” del 2014. Che Osborne potesse farsi valere anche in chiave acustica/cantautorale era fuor di dubbio, lui è uno di quelli, pochi, che può fare praticamente tutto, ma quel disco s’era inserito nella brevissima lista dei suoi mezzi passi falsi, troppo masticato, troppo frammentario, eccessivamente annacquato e un po’ acerbo nell’affrontare una dimensione atipica per il suo autore.
Ma era solo questione di tempo prima che Osborne perfezionasse anche questo aspetto del suo prisma compositivo. In “Gift Of Sacrifice”, accompagnato dall’amico Trevor Dunn che violenta un contrabbasso, Buzz dà un senso agli “errori” di sei anni fa: tracklist più concisa e d’impatto con sole nove tracce di cui tre brevissime (contro le diciassette del 2014), una lunga e arrugginita catena che le tiene insieme per benino e un suono più uniformemente ancorato ad insegnamenti e visioni che lo hanno reso qui una sorta di Tom Waits in acido.
L’obiettivo neanche troppo nascosto di un album del genere è quello di riscrivere in chiave sperimentale il blues, e Osborne lo fa in maniera eclettica e senza dubbio personale, rendendo riconoscibile il suo stile, il suo tocco, anche qui che per concezione c’è poco da fare rumore. Giusto per dare un’idea, I’m Glad I Could Help Out prende a spallate con un’inusitata cattiveria lisergica, Delayed Clarity vaga dalle parti dei Neurosis solisti (Scott Kelly e Steve Von Till), mentre Science In Modern America, Bird Animal e Mock She sono destrutturazione del folk con in comune code sintetiche che le strappano alla tradizione per rispedirle fino ai giorni nostri.
“Gift Of Sacrifice” funziona e pure bene, perché Osborne non s’è lasciato prendere troppo la mano dalla sua inarrestabile fame, perché lascia chiaramente intravedere un progetto di fondo ben strutturato e perché dà aria e respiro a una chitarra che, così, da ora in in poi avrà anche un altro mazzo da cui pescare carte vincenti. Ce ne fossero, in giro, come King Buzzo.
(2020, Ipecac)
01 Mental Vomit
02 Housing, Luxury, Energy
03 I’m Glad I Could Help
04 Delayed Clarity
05 Junkie Jesus
06 Science In Modern America
07 Bird Animal
08 Mock She
09 Acoustic Junkie
IN BREVE: 3,5/5