Archy è cresciuto. Ha venticinque anni, una figlia, una compagna e vive nel North West di Londra. Ha lasciato Peckham, i suoi pub e quella voglia di affogare la depressione nell’alcol. È cresciuto ed ha talento. Lo stesso talento mostrato nei due dischi precedenti: la sinistra melodia di “6 Feet Beneath The Moon” (2013) e lo sbilenco meltin’ pot di jazz e post punk del successore “The OOZ” (2017). Archy non ha paura di sbagliare, di rischiare restando coerente. È febbrile nello stile ma laconico. È ispirato, quello da sempre.
Man Alive! è la sua terza fatica discografica in studio, registrata tra gli Shrunken Heads di Nunhead e gli Eve Studios di Stockport – spostamento dovuto anche alla nascita della figlia Marina – sotto la supervisione di Dill Harris, già coproduttore del disco precedente. Anche qui gli artworks del disco sono opera del fratello Jack, visual artist, già ideatore della scia luminosa di “The OOZ”, che ha cercato di dare un’impronta iconografica al titolo: una figura che sembra l’incrocio tra un sax e un omino stilizzato dalle lunghe gambe, ovviamente totalmente colorato di rosso. “Man Alive!” è un’esclamazione che sa d’imprecazione: una sorta di “Oh, Shit!” mascherato da invito alla sopravvivenza. Tra l’altro ci si potrebbe scorgere anche un accorato insulto alla Brexit, senza che però questo venga espresso in maniera evidente.
Rispetto al lavoro precedente, questo disco sembra avere un approccio più minimale e raccolto ma pur sempre spigoloso, melodicamente parlando, un po’ come la fisionomia di Krule. Le chitarre sghembe sono sempre lì e insieme alla miriade di effetti e al sax – per l’occasione suonato da Ignacio Salvadores – creano un strato sonoro nevrotico, impaziente di incontrare il cantato ipnotico di Archy, quasi biascicato nei toni cupi della sua tipica cifra vocale.
Questi quarantuno minuti – pochi a detta di Krule, visto il mare magnum di pezzi scritti dopo “The OOZ” – iniziano con Cellular e le sue bordate di basso crivellate da glitch sonori che si innestano su strutture tendenti ad un free jazz distorto. Un brano sugli effetti alienanti del troppo essere connessi oggi, senza vie di fuga o alternative. Supermarché e Stoned Again con le loro pulsazioni post punk sembrano formare un unico flusso sonoro, spezzato, in parte, dagli echi trip hop e dai fiati di Salvadores nel secondo pezzo. The Dream, con il tributo iniziale ai Talking Heads e a “Stop Making Sense”, pone un freno all’impeto iniziale con un piano ipnotico che avanza sommessamente. Mentre Perfecto Miserable, utilizzata anche in “Hey World”, corto della Patmore (compagna di Krule), è una sorta di asciutto soliloquio sulle paturnie che attanagliano Archy, sciorinato in un distorto soul dall’animo punk.
La languida Alone, Omen 3 nel suo abito di ibrido post punk e alt soul ci ricorda di non sentirci soli, nemmeno nel profondo di una metropoli (“But don’t forget you’re not alone / Deep in the metropole”). La seconda parte del disco si apre con gli algidi bozzetti alt soul di Airport Antenatal Airplane e (Don’t Let The Dragon) Draag On, che ricordano il più freddo James Blake, passando per le sinestesie sonore di Underclass che strizzano l’occhio all’alt jazz, fino a concludersi con i suoni dilatati di Energy Fleets e le cupe trame di Please Complete Thee, un po’ dei Bauhaus a colloquio con Daniel Lopatin.
Se “The OOZ” è stato un modo per osare con certi suoni e certe sovrastrutture musicali, “Man Alive!” è una conferma di quanto fatto. Un lavoro riuscito che si innesta sulla scia del predecessore, arrivando al traguardo quasi in contemporanea. Una comfort zone più sincopata, in cui Archy si rifugia per esorcizzare tutti i suoi incubi più reconditi, ma anche per non farsi sconvolgere dai repentini cambiamenti della sua vita privata.
(2020, XL)
01 Cellular
02 Supermarché
03 Stoned Again
04 Comet Face
05 The Dream
06 Perfecto Miserable
07 Alone, Omen 3
08 Slinky
09 Airport Antenatal Airplane
10 (Don’t Let The Dragon) Draag On
11 Theme For The Cross
12 Underclass
13 Energy Fleets14 Please Complete Thee
IN BREVE: 3,5/5